SCENE DA UN MATRIMONIO (TRA LA FORMAZIONE PER IL MANAGEMENT E IL CINEMA): CARPE DIEM, COGLI...L'ATTIMO FUGGENTE!
Scritto il 09 Novembre 2020
Con questo articolo continuiamo a “potenziare” i grandi temi del Management e del Lavoro, attraverso la Settima Arte: il Cinema, che ci manca assai di questi tempi. Oggi vogliamo parlare infatti di Empowerment (traducibile basicamente come “potenziamento”, ma si può notare come con la traduzione si perda la ricchezza semantica), termine che è davvero esploso nella letteratura manageriale degli ultimi dieci/quindici anni.
Il termine, nato in ambito psico-pedagogico, è stato poi allargato alla sfera politica: si riferiva infatti a studi sui gruppi e movimenti statunitensi, impegnati tra gli anni 50 e il 60 nell'azione per i diritti dei cittadini di colore e per altri temi quali la guerra del Vietnam, la casa, l'emancipazione della donna; sinteticamente l'Empowerment rappresenta il processo attraverso il quale le categorie sociali deboli sono aiutate ad assumersi le loro responsabilità attraverso lo sviluppo di capacità che danno accesso ad opportunità prima impensate.
Il concetto di Empowerment è poi diventato negli ultimi anni sempre più centrale nelle strategie di sviluppo organizzativo, assumendo via via significati di: crescita di potenzialità, responsabilizzazione, condivisione, delega e trasferimento di poteri, aumento di capacità e competenze tout court. Si inserisce nel quadro delle nuove pratiche di gestione (gestione?!) delle Umane Risorse 4.0, nate dalla consapevolezza crescente che ogni valorizzazione e sviluppo è possibile e concreta solo se a crescere sono in primis gli attori (!) organizzativi, le Persone. Volendo “mettere a terra” il concetto, l’Empowerment consiste nell’aumento delle capacità del Soggetto di influenzare il proprio ambiente (e la propria realtà) e nella maggiore partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali; la finalità ultima è dunque la trasformazione del lavoratore da passivo strumento di produzione, da efficientare in termini di costo e da controllare in termini di gestione, a “socio” dell’Azienda appassionato e creativo, in grado di auto-organizzarsi e dotato di potere e iniziativa.
Il film che per antonomasia specchia la narrazione di cui sopra è il mitologico “Dead Poets Society” (ah, la setta dei poeti estinti!), titolo in italiano “L’attimo fuggente”, del 1989 con la regia dell’australiano Peter Weir.
Ecco in breve la trama del film.
Nel 1959 John Keating (interpretato dal bravissimo e compiantissimo Robin Williams), insegnante di letteratura, viene trasferito nel collegio maschile Welton, nel Vermont. Keating ha un approccio didattico originale che spinge gli alunni a distinguersi dagli altri e a seguire la propria strada; inoltre spiega ai suoi studenti che la poesia non è un elemento geometrico ma il sentimento dell’uomo…
L'insolito comportamento dell'insegnante incuriosisce un po’ tutti gli studenti, in particolare Neil Perry, ragazzo incapace di confrontarsi col padre il quale impedisce al figlio ogni attività che possa distrarlo dallo studio.
Il Professor Keating continua con il suo originale metodo d'insegnamento ed il suo entusiasmo sembra contagiare i ragazzi (anche se la sua didattica infastidisce il preside, peraltro non solo lui…), a tal punto che riportano in vita un gruppo "clandestino" di poesia, la setta dei poeti estinti, che avevano scoperto esistere già negli anni in cui il professore era studente, il quale ne faceva parte ed era stato il fondatore; inoltre il timido Knox si innamora follemente della bella Chris e cerca a tutti i costi di conquistarla, Neil ottiene una parte in uno spettacolo teatrale. Ma dopo qualche tempo inevitabilmente “i nodi vengono al pettine” in questa scuola americana degli anni ’50, dove la tradizione deve continuare senza se e senza ma, ed il film sprofonda nel tragico. Il professor Keating verrà poi allontanato dall'istituto e la cattedra di lettere viene affidata temporaneamente al preside: ma quando il professore torna nella classe per raccogliere i suoi oggetti personali, Todd sale sul proprio banco (mostrando di aver compreso l'incoraggiamento del professore a "guardare le cose da angolazioni diverse") e ne richiama l'attenzione pronunciando la frase «O capitano! Mio capitano!» (titolo ed incipit di una poesia di Walt Whitman dedicata alla figura di Abraham Lincoln), frase chiave per il professore, poiché è il modo con cui lui vuole che lo chiamino; subito dopo altri ragazzi compiono lo stesso gesto, mentre il professore si allontana dopo aver detto «Grazie, figlioli». Come si può evincere da questa sinossi il film è particolarmente avvincente ed intenso, nonché molto commovente.
Tutto il film ci racconta di potenziamento dell’Individuo, ma c’è una scena madre che potrebbe fare da “spot” all’Empowerment, ed è intorno a metà dell’opera: il professor Keating aiuta un suo studente timido ed introverso a recitare in pubblico una poesia, ed all’inizio questo appare una Mission Impossible, poiché lo studente non riesce a parlare, balbetta qualche parola, piange; Keating non molla finché, un poco alla volta, riesce a far comprendere al giovane “svantaggiato” che ce la può fare, che anche questo public speaking per lui difficilissimo è in ogni caso alla sua portata: così inizia la recita davvero, prima poche parole, poi arrivano i primi versi ripetuti in modo meccanico, infine una “recitazione” potente, piena di emozione e forza d’animo che commuove tutti i compagni…e non solo…
In conclusione desideriamo sottolineare che per arrivare al potenziamento di sé stessi si deve passare necessariamente attraverso una fase in cui le persone abbandonano una vision del proprio lavoro caratterizzata quasi esclusivamente dalla ricerca di sicurezze, sociali ed economiche, per baciarne una più insicura e vulnerabile ma in embrione molto più gratificante: è utile aggiungere che questo potrà accadere solo se le Aziende avranno come attori principali dei Leaders illuminati, motivatori e trascinatori in primis…insomma dei Professor Keating in salsa manageriale!
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