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Affitti e locazioni: si pagano anche in tempo di pandemia?

Scritto il 06 Aprile 2020

Oggi parliamo del pagamento dei canoni di affitto e di locazione, un tema che tocca davvero tantissimi di noi, commercianti e proprietari di negozi in particolare: sono infatti noti i provvedimenti con cui il Governo ha disposto la chiusura di tutte le attività non essenziali, imponendo quello che siamo ormai abituati a sentire, il Lockdown Totale.

Attualmente sono molti i piccoli e medi commercianti che si chiedono e che chiedono ad avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro: “il mio negozio è chiuso, posso interrompere il pagamento dei canoni fino a che l’emergenza non sia terminata? Spoiler: NO, NON SI PUO’!

Infatti, questa possibilità non è contemplata in nessuno dei numerosi Decreti emanati in quest’ultimo mese, anzi: il famoso Decreto Cura Italia, all’articolo 65 stabilisce un nuovo credito d’Imposta (per il quale v’è già un nuovo codice tributo ad hoc) in favore di commercianti titolari di contratto d’affitto, pari al 60% del canone pagato per il mese di marzo 2020. La misura riguarda i locali di negozi e botteghe (categoria catastale C1). Il credito, inoltre, può essere utilizzato solo in compensazione e non può essere richiesto dalle attività elencate negli allegati 1 e 2 del DPCM dell’11 marzo 2020 (si attendono proroghe e un eventuale ampliamento dei potenziali fruitori per il mese di Aprile, visto che l’emergenza sembra destinata a protrarsi); anche se la norma non prevede nessun vincolo preciso, nella circolare n. 8 del 3 aprile 2020 l’Agenzia delle Entrate chiarisce che il bonus affitto spetta solo a chi ha pagato il canone di locazione: “Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo..

Nemmeno risulta applicabile l’ipotesi (di cui s’è sentito parlare) di non pagare l’affitto ricorrendo alla Impossibilità sopravvenuta, prevista dal nostro Codice Civile dagli articoli 1463 e seguenti, per le seguenti ragioni:

  • i divieti di esercizio delle attività non incidono sulla prestazione principale del proprietario dell’immobile (il locatore), consistente nella messa a disposizione dell’immobile dato in affitto. Dall’altro lato la “impossibilità” di utilizzo dell’immobile per uso commerciale, oltre che a non essere perpetua, non rende direttamente impossibile il pagamento del canone dell’immobile, e non rende impossibile la vera causa del contratto, ossia “avere l’immobile sotto la propria disponibilità” (la Giurisprudenza applica il concetto di “impossibilità” in modo molto rigido, a nulla rilavando il vero scopo pratico che ha indotto il commerciante a prendere il negozio in affitto, ossia per usarlo come locale commerciale);
  • anche se fosse applicabile l’impossibilità sopravvenuta, il risultato non sarebbe solamente quello di non pagare l’affitto per un determinato periodo, bensì la completa risoluzione del contratto, che comporterebbe il non aver più a disposizione l’immobile (non solo per il periodo di emergenza, ma in via definitiva!).

Altra possibilità di cui si è parlato è il ricorso a quanto previsto dell’articolo 1467 del Codice Civile, in tema di eccessiva onerosità. Qui, a differenza di quanto detto in merito all’impossibilità sopravvenuta, dobbiamo dire che si tratta di una norma astrattamente applicabile. L’articolo parla infatti di applicabilità in caso di “eccessiva onerosità (…) per avvenimenti straordinari ed imprevedibili”. Ora, posto che il Covid-19 è senza alcuna ombra di dubbio un evento straordinario ed imprevedibile, il problema sta negli effetti di questa norma: infatti, anche in questo caso, l’eccessiva onerosità porta alla Risoluzione del contratto, con conseguente perdita di disponibilità dell’immobile in capo al commerciante. E ad ogni modo, la risoluzione non opera in modo automatico, ma va domandata alla controparte.

QUINDI, CHE FARE?

Non tutto è perduto. Resta sempre la possibilità di negoziare col proprietario. Le via di uscita “negoziali” più percorribili sono queste:

  • L’imprenditore potrebbe chiedere al proprietario di prorogare la scadenza del pagamento, senza addebito di interessi. Fonte normativa è l’articolo 1256 del Codice Civile che, in estrema sintesi, esonera il debitore da ogni responsabilità nel caso di impossibilità temporanea della prestazione dovuta a impedimenti non imputabili al conduttore (ossia alla persona che usufruisce dell’immobile, l’imprenditore);
  • Ulteriore via percorribile, è quella di poter chiedere al proprietario una riduzione del canone di affitto, valida per tutta la durata dell’emergenza. Una possibilità, anche in questo caso, legittimata dal nostro Codice Civile all’articolo 1467, che permette al locatore (il proprietario) di offrire condizioni più vantaggiose per il conduttore, al fine di tenere in vita il contratto. Ipotesi che sarebbe nell’interesse di entrambe le parti. Da una parte il conduttore mantiene la disponibilità dell’immobile ad un prezzo del canone ridotto, dall’altra il locatore si garantisce una minima forma di entrata, che sarebbe pari a zero nell’eventualità di una risoluzione per eccessiva onerosità, di cui abbiamo parlato sopra.

Qualora, invece, il locatore rifiutasse ogni tipo di trattativa, oltre alla possibilità della risoluzione per eccessiva onerosità, vi è anche quella di proporre un recesso per giusta causa, ai sensi della legge 392/1978. In questo caso, il conduttore esercita detta facoltà di recesso dando un preavviso di almeno sei mesi al locatore, indicando in modo preciso, e a pena di nullità, i “gravi motivi” che conducono a questa scelta (la chiusura dell’attività in conseguenza della corona virus è da ritenersi pacificamente un “grave motivo” fuori dal controllo dell’imprenditore, che legittimerebbe un recesso in questo senso).

Ma, ad ogni modo, il canone dovrà esser continuato a pagare per tutti i 6 mesi successivi.

Insomma: non esiste alcuna previsione normativa che permette di non pagare l’affitto al proprietario, pur mantenendo la disponibilità dell’immobile. Ma, lo ribadiamo, resta salva la possibilità di ottenere un rimborso del 60% di quanto pagato, sotto forma di credito d’imposta.

E per gli immobili ad uso privato, o comunque non rientranti nell’ipotesi di credito d’imposta del 60% di quanto pagato? Beh, per loro, ahimè, nulla da fare.

Unica alternativa, per costoro, la possibilità di negoziare col proprietario: far presente che le difficoltà straordinarie frutto di questa emergenza non consentono di pagare l’affitto nella sua forma piena, chiedendo una riduzione provvisoria del canone oppure una dilazione dei termini entro cui poter saldare il conto proprio come esposto poco sopra.

Magra consolazione? Sicuramente.

Non possiamo far altro che sperare che il nuovo decreto di Aprile, in arrivo in questi giorni, intervenga, anche in modo indiretto (reddito di emergenza per pagare le spese più importanti e indifferibili), per risolvere questo problema: sono davvero tanti gli esclusi dalle tutele economiche del Decreto Cura Italia. Tanti precari, non solo colf e badanti, ma anche studenti che hanno “perso” il loro lavoretto in nero per arrotondare le spese, oppure lavoratori dipendenti assunti dopo il 23 febbraio 2020 (e quindi esclusi dagli ammortizzatori sociali) che aspettano tutele che consentano loro di pagare l’affitto di casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

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