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Compatibilità di cariche sociali e lavoro subordinato nelle società di capitali

Scritto il 04 Ottobre 2019

La giurisprudenza della Suprema Corte si è uniformata al criterio generale in base al quale l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, in una società di capitali non esclude astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato (fatte salve alcune eccezioni). Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono perciò cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e l’esistenza del vincolo di subordinazione.

Compatibilità astratta col lavoro subordinato

Presidente - Sì, poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del CdA, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni e al controllo dell’organo collegiale, anche se gli sia stato conferito il potere di rappresentanza, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi.

Amministratore unico - No, poiché l’amministratore unico della società è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina. In questo caso, l’assenza di una relazione intersoggettiva, suscettibile di una distinzione tra la posizione del lavoratore in qualità di organo direttivo della società e quella del lavoratore come soggetto esecutore delle prestazioni lavorative personali (che, di fatto, dipendono dallo stesso organo direttivo), porta a sancire un principio di non compatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente e la carica sociale.

Amministratore delegato - Dipende dalla portata della delega conferita dal CdA (che può essere generale e, come tale, implicante la gestione globale della società o parziale, qualora vengano delegati limitati atti gestori):

  • nelle ipotesi in cui l’amministratore sia munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del CdA è esclusa la possibilità di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società;
  • diversamente, l’attribuzione da parte del CdA del solo potere di rappresentanza o di specifiche e limitate deleghe all’amministratore non è ostativo, in linea generale, all’instaurazione di genuini rapporti di lavoro subordinato.

Unico socio - No, perché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude, nonostante l’esistenza della società come distinto soggetto giuridico, l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario. Parimenti, il socio che abbia assunto di fatto nell’ambito della società l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione, tanto da risultare “sovrano” della società stessa, non può assumere contemporaneamente anche la diversa figura di lavoratore subordinato, essendo esclusa la possibilità di ricollegare a una volontà “sociale” distinta la costituzione e gestione del rapporto di lavoro.

Con il messaggio n. 3359/2019, l’Inps ha illustrato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, riassumendo i principi di base espressi sul tema, con riguardo, in generale, alla figura dell’amministratore di società di capitali nelle sue funzioni tipiche di gestione e di rappresentanza dell’ente. L’Istituto, con la circolare n. 179/1989, aveva escluso, in linea di massima, che per i “presidenti, gli amministratori unici ed i consiglieri delegati” potesse essere riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato valido con la medesima società, ma tali precisazioni sono da intendersi in parte rivisitate dal successivo messaggio n. 12441/2011, nell’ambito del quale sono stati forniti chiarimenti sulla possibilità di instaurazione di un valido rapporto di lavoro subordinato tra la società cooperativa e il presidente della medesima.

L’Inps ritiene, pertanto, che la semplice circostanza che il socio di società di capitali assommi in capo a sé anche l’incarico di amministratore, pur sintomatica della non sussistenza del vincolo di subordinazione, non sia di per sé sufficiente a concludere per la non configurabilità del rapporto di lavoro subordinato, in quanto in tali fattispecie vanno vagliate disgiuntamente, caso per caso, sia la condizione di possessore di parte del capitale sociale sia l’incarico gestorio.

Pertanto, una volta stabilita l’astratta possibilità di instaurazione, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, di un autonomo e parallelo diverso rapporto di lavoro subordinato, dovrà accertarsi in concreto l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione, mediante la valutazione, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni:

che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o a un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale, il quale esplichi un potere esterno;

  • che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto o degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
  • che il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che, pertanto, non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.

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