E SE E' IL DIPENDENTE CHE "CONTESTA" L'AZIENDA? COSA SUCCEDE...
Scritto il 07 Settembre 2022
Il diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro è legittimo, purché sia esercitato nei limiti della correttezza formale e sostanziale. È il principio ribadito dalla Cassazione penale nella sentenza 17784/2022.
Il diritto di “contestare” del lavoratore il proprio datore di lavoro è sancito nella nostra Costituzione (articolo 21) e nello Statuto dei Lavoratori (articolo 1 della legge 300/1970). L’esercizio del diritto, tuttavia, incontra alcuni vincoli quali il diritto del datore di lavoro alla tutela del proprio onore e della propria reputazione, nonché il limite costituito dall’articolo 2105 del Codice civile, che sancisce l’obbligo di fedeltà del dipendente.
In pregio a siffatto principio quanto enunciato dalla Cassazione penale 17784 pubblicata il 4 maggio scorso: la sentenza ha ribaltato completamente la decisione del Tribunale di Brescia, che aveva condannato per diffamazione un sindacalista che, attraverso la pubblicazione di un post su un blog, aveva denunciato il comportamento datoriale di «sfruttamento» dei lavoratori (per motivi legati ad un contratto di appalto).
A sostegno della propria decisione la Cassazione ha posto l’orientamento, ormai vincente, secondo cui il diritto di critica deve ritenersi legittimo se viene esercitato nei limiti della “buona fede” formale e sostanziale. Per non cadere quindi nell’illegittimità dell’esercizio di tale diritto, da un punto di vista sostanziale i fatti narrati dal lavoratore dovranno sempre rispondere ai criteri della veridicità, mentre, da un punto di vista meramente formale, l’esposizione del racconto dovrà avvenire senza mai superare i parametri della correttezza e della pertinenza.
Quando i limiti sopra descritti siano travalicati, il lavoratore può rischiare il licenziamento per giusta causa, per lesione del vincolo fiduciario: inoltre potrebbe essere denunciato per diffamazione!
LE CRITICHE SUI SOCIAL E NELLE CHAT PRIVATE
Ancora più attenzione deve essere prestata se la critica viene espressa e pubblicata sui social network: le aziende, e non solo loro come sappiamo, si confrontano ogni giorno con lavoratori che postano commenti o critiche relative all’ambiente di lavoro o alle politiche datoriali su Facebook, Twitter, Instagram, Linkedin o in gruppi di chat privati.
La pronuncia del 4 maggio corrobora dunque i limiti al diritto di critica, i quali sono sempre applicabili, senza che faccia alcuna differenza il luogo in cui le contestazioni sono esternate, sia esso il posto di lavoro o la bacheca dei social media.
La Cassazione ha chiarito che la diffusione di un messaggio offensivo attraverso l’uso di una bacheca di un social network nei riguardi di persone facilmente individuabili integra un’ipotesi di diffamazione per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone: da ciò consegue la legittimità del licenziamento per giusta causa, trattandosi di una condotta idonea a concretizzare un grave inadempimento del dovere di fedeltà imposto al dipendente (si veda anche la Cassazione 10280/2018).
La Cassazione, con la pronuncia 21965 del 2018, ha ritenuto che, stante la natura «chiusa e privata» delle chat, la pubblicazione da parte dei lavoratori di frasi offensive nei confronti della società datrice di lavoro all’interno della chat di Facebook non possa integrare né la fattispecie del reato di diffamazione né che tale circostanza, possa essere posta a fondamento di un licenziamento per giusta causa. Risulta infatti evidente per i giudici la volontà di mantenere privata la conversazione e di non voler diffonderne all’esterno il contenuto.
IL REGOLAMENTO AZIENDALE POTREBBE AIUTARE
In questo contesto è quindi più che mai opportuno che le aziende si dotino di apposite regolamenti sull’utilizzo dei social network all’interno dell’ambiente lavorativo, prevedendo regole chiare su ciò che è consentito e individuando le sanzioni applicabili in caso di violazione da parte dei lavoratori. È fondamentale, infatti, prevenire un utilizzo errato dei social network che può portare a un danno reputazionale per l’azienda.
Una social media policy ben scritta e ben comunicata nel contesto aziendale stimola i dipendenti a utilizzare in modo responsabile i social sia personali, sia aziendali.
Inoltre, la chiarezza delle regole e delle sanzioni applicabili può essere d’aiuto anche ai magistrati, in caso di contenzioso, per valutare il comportamento del dipendente: si tratta di valutare e bilanciare la fedeltà aziendale con la libertà di esprimersi del lavoratore.
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