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IL MOBILITY MANAGER: CHI E', COSA FA E QUALI SONO GLI OBBLIGHI PER LE AZIENDE INTERESSATE

Scritto il 13 Marzo 2023

“Benvenuto Mobility manager!” È proprio il caso di declamarlo, visto che questa figura manageriale, probabilmente, dovrà decollare (anche se in teoria esiste da un ventennio circa) nei prossimi anni, complici le novità (e gli obblighi) portati dalla normativa degli ultimissimi tempi: ma chi è? Cosa fa? Quando va nominato? Scopriamolo.

 

PREMESSA

Viviamo tempi di grandi stravolgimenti e cambiamenti: la guerra in Ucraina, il post pandemia, ma anche l’impellente senso d’urgenza di dover limitare le emissioni di CO2 per evitare effetti catastrofici prima sul clima e poi (a cascata) sull’intera economia mondiale. Queste 3 crisi (pandemia, guerra, aumento delle temperature globali) impattano in maniera più o meno diretta sulle nostre abitudini sociali e lavorative, in modo interconnesso. Un esempio eclatante è proprio quello della mobilità delle persone, stravolta negli ultimi 2-3 anni, e destinata a cambiare ancor di più d’ora in poi, sic et simpliciter. Riflettiamoci: − i lunghi periodi di lockdown sono serviti a farci scoprire che, per molte mansioni, non è necessario andare tutti i giorni sul luogo di lavoro. Le persone hanno scoperto lo smart working, le aziende hanno compreso che, con piani di smart working strutturali, possono risparmiare (riscaldamento, condizionatore, minore necessità di avere ampi spazi di lavoro), di conseguenza si è ridotta tantissimo la mobilità dei lavoratori sul percorso casa-lavoro. E si badi: il trend proseguirà in questa direzione (secondo una previsione del Politecnico di Milano saranno ben 4,4 milioni i lavoratori che continueranno a lavorare da remoto in Italia, magari con formule ibride); − la crisi della guerra in Ucraina è tra i motivi del boom dei prezzi dei carburanti; per non pagare la benzina le persone valutano sempre di più l’opzione di spostarsi utilizzando mezzi pubblici; − anche la crisi climatica ci impone un ripensamento del modo in cui ci spostiamo: si tendono a preferire i trasporti pubblici, aumenta la propensione delle persone (almeno nelle grandi città) a utilizzare mezzi di trasporto condivisi e aumentano sempre di più gli incentivi per coloro che acquistano mezzi di trasporto elettrici/ibridi. Insomma, senza alcuna ombra di dubbio stiamo assistendo a un cambiamento del mondo della mobilità, e a testimoniarlo sono anche le scelte politiche degli ultimi mesi.

Tra queste vi è la decisione dell’Esecutivo di rimettere sotto le luci dei riflettori (rendendo la sua nomina obbligatoria per le aziende, in alcuni casi) una figura che, seppur esistente dal 1998, è sempre rimasta semi-sconosciuta: parliamo del Mobility manager.

 

CHI E' IL MOBILITY MANAGER?

Il Mobility manager fa il suo esordio nell’ordinamento italiano nel lontano 1998, quando il Decreto Ronchi (D.L. 27 marzo 1998), ha previsto l’introduzione di questa nuova figura professionale incaricata di offrire “consulenza” a P.A. e grandi aziende site in “grandi città inquinate”, per cercare di ottimizzare gli spostamenti dei lavoratori.

Col tempo la figura si evolve (nel silenzio della stampa, specializzata e non): − nel 2000 nasce il “Mobility manager d’area”, una figura di raccordo tra i vari Mobility manager aziendali (si noti che erano ancora praticamente inesistenti); − nel 2015 viene previsto che anche gli istituti scolastici devono dotarsi di un Mobility manager; − nel 2020 il noto Decreto Rilancio (D.L 34/2020, convertito con L. 77/2020) irrigidisce (burocraticamente parlando) la figura del Mobility manager, che viene descritto dall’articolo 229, comma 4, in questo modo: il Mobility manager è “colui che (…) promuove, anche collaborando all'adozione del piano di mobilità sostenibile, la realizzazione di interventi di organizzazione e gestione della domanda di mobilità delle persone, al fine di consentire la riduzione strutturale e permanente dell'impatto ambientale derivante dal traffico veicolare nelle aree urbane e metropolitane, tramite l'attuazione di interventi di mobilità sostenibile”.

Per farla breve: stiamo parlando di un professionista incaricato di governare la mobilità dei dipendenti nel loro percorso casa-lavoro.

 

COME OPERA UN MOBILITY MANAGER? COSA FA?

Il frutto del lavoro di un Mobilty manager è la redazione di un Piano spostamenti casa-lavoro (Pscl), un vero e proprio documento programmatico che, attraverso l’organizzazione e la gestione della domanda di mobilità (i cui dati vanno ottenuti tramite una consultazione di cui diremo tra poco) identifica delle “aree di miglioramento”, stabilendo un piano d’azione ben dettagliato, volto a rendere più sostenibili i percorsi casa lavoro del personale dipendente.

 

CI SONO AZIENDE OBBLIGATE A DOTARSI DI UN PSCL?

Sì, per effetto delle modifiche portate dal sopracitato D.L. Rilancio del 2020, ma, in particolare, a seguito di un D.M. (16 settembre 2022, che ha, a sua volta, modificato il D.M. 12 maggio 2021, rubricato “Modalità attuative delle disposizioni relative alla figura del mobility manager”, insomma, un vero e proprio labirinto normativo), sono soggette a questo obbligo: le imprese e P.A., se hanno singole unità locali con più di 100 dipendenti, e se tali unità locali sono ubicate in un capoluogo di Regione oppure in una città metropolitana o in un capoluogo di Provincia o, infine, in un Comune con più di 50.000 abitanti.

Tutti questi requisiti devono coesistere per determinare l’insorgere dell’obbligo in questione. Ma non è finita, perché, ai fini del corretto computo dei 100 dipendenti, il D.M. 16 settembre 2022 afferma che:

  • In caso di società infragruppo ubicate nella stessa unità locale, la soglia dei 100 dipendenti è calcolata sommando i dipendenti delle diverse società del raggruppamento.

Come se non bastasse, ulteriori disposizioni ci guidano nel capire come effettuare il computo in questione proseguono, affermando anche che:

  • Al fine della verifica della soglia dei 100 dipendenti in ogni singola unità locale (…), si considerano come dipendenti le persone che, seppur dipendenti di altre imprese e pubbliche amministrazioni, operano stabilmente, ovvero con presenza quotidiana continuativa, presso la medesima unità locale in virtu' di contratti di appalto di servizi o di forme quali distacco, comando o altro.

Si tratta di una presunzione giuridica molto importante.

Se una determinata azienda dovesse rientrare nel campo di applicazione di questo obbligo dovrà dotarsi, pertanto, di un Pscl (entro il 31 dicembre di ogni anno, ex articolo 3, comma 1, D.M. 12 maggio 2021), nominando all’uopo il Mobility manager: siffatto new manager avrà funzioni di supporto professionale per le attività di decisione, pianificazione, programmazione, gestione e promozione di soluzioni ottimali di mobilità sostenibile (ex articolo 5, comma 1, D.M. 12 maggio 2021, così come modificato dal D.M. 16 settembre 2022).

Peraltro, una volta adottato un Pscl di cui sopra, la procedura non si esaurisce, poiché l’articolo 4 così recita:

  • Il PSCL adottato dalle imprese e dalle pubbliche amministrazioni (…) è trasmesso al comune territorialmente competente entro quindici giorni dall'adozione.

Inoltre:

  • al fine di ottimizzare le politiche locali di mobilità sostenibile, il Comune, con il supporto del mobility manager d'area, individua, d'intesa con il mobility manager aziendale che ha prestato la propria attività a supporto dell'adozione dello specifico PSCL (…), eventuali modifiche al PSCL medesimo, e può stipulare con l'impresa o la pubblica amministrazione che ha adottato, intese e accordi per una migliore implementazione del PSCL.

Pertanto, non solo le aziende interessate devono implementare un Pslc con l’aiuto di un Mobility manager appositamente nominato, ma devono anche trasmetterlo al Comune competente, che a sua volta avrà un Mobility manager d’area (una figura che avrebbe lo scopo di fare da raccordo tra tutti i Mobility manager aziendali del territorio, e che è obbligatoriamente nominato dal Comune), il quale potrà offrire suggerimenti per modificarlo (se individua aree di miglioramento).

Se a questo punto state pensando “ma chi è che ha ideato un sistema così complesso e burocratizzato?”, sappiate che siete in nostra compagnia. Tale adempimento, come minimo di origine bizantina, sarà da ripetere ogni anno(!). Certo che è un peccato, perché il fine di “razionalizzare gli spostamenti dei lavoratori per ridurre inquinamento e migliorare la vivibilità delle città” è davvero lodevole, ma … siamo sicuri che nuovi adempimenti amministrativi a carico delle aziende risolvano un problema del genere?

 

IL PSCL: COME DEVE ESSERE REDATTO? COSA DEVE CONTENERE?

A questo punto dell’articolo dovrebbe essere più chiaro:

  • in cosa consiste il nuovo obbligo;
  • chi sono i soggetti destinatari dell’obbligo;
  • qual è il procedimento amministrativo
  • burocratico da seguire.

Dunque, è chiaro cosa va fatto; ma come dev’essere fatto? Come si scrive un Pscl? Abbiamo delle indicazioni su quali debbano essere i suoi contenuti minimi? Le risposte a tutte queste domande sono contenute in un nuovo e ulteriore provvedimento normativo, che fin qui non era ancora stato citato, il D.I. 179/2021, pubblicato in G.U. n. 124/2021; successivamente, con il D.I. 209/2021, sono state fissate le relative “Linee guida per la redazione e l’implementazione dei piani degli spostamenti casa-lavoro (PSCL)”.

Il documento (che dà risposte fondamentali) è suddiviso in 7 punti, i quali descrivono in modo dettagliato e coerente tutta la fase di adozione del Pscl; abbiamo, infatti:

  • punto 1: una sorta di premessa che riassume in modo ordinato l’evoluzione del nuovo obbligo, specificandone i destinatari;
  • punti 2-5: descrivono in modo preciso la procedura da seguire per l’adozione del Pscl, esplicando i contenuti minimi e fornendo consigli ai destinatari;
  • punti 6 e 7: descrivono il “dopo”; cosa succede dopo aver adottato il documento e come devono essere monitorati gli obiettivi fissati dal Pscl.

Entriamo dunque nell’analisi del D.I. 21 maggio 2021.

 

LA STRUTTURA DEL PSCL

Di struttura del Pscl parla l’articolo 3, D.I. 21 maggio 2021, il quale, oltre a corroborare in cosa consiste un Pscl (definire misure utili a orientare positivamente gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti) introduce 3 concetti importantissimi.

Il primo è che il Pscl deve esser redatto tenendo conto dell'analisi degli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, delle loro esigenze di mobilità e dello stato dell'offerta di trasporto presente nel territorio interessato.

Viene, pertanto, esplicitato che il Mobility manager deve sondare e captare le esigenze delle persone, che saranno la base di partenza del Pscl, avviando una consultazione dei dipendenti (magari con un questionario).

Con il secondo ci viene detto che, una volta individuate tali esigenze, il Pscl dovrà essere formato da 2 parti: una parte informativa (dove compaiono i risultati aggregati dei dati emersi dall’analisi degli spostamenti casa-lavoro) e una parte progettuale, contenente le possibili misure da adottare e i benefici conseguibili.

Col terzo ci viene detto che “al fine di rendere efficace il PSCL, l’azienda deve comunicare al proprio mobility manager l’entità delle risorse aziendali disponibili per lo sviluppo delle iniziative”, che poi compariranno nella parte progettuale del documento.

Sul punto, tuttavia, va rilevato che non esiste alcun obbligo da parte dell’azienda di dover mettere a disposizione risorse economiche di alcun genere per l’attuazione delle iniziative.

 

DALLA PARTE INFORMATIVA E DI ANALISI ALLA PROGETTUALITA' DEL PSCL

È, dunque, chiaro da dove deve partire il Mobility manager: la consultazione dei lavoratori con l’obiettivo di tracciare un quadro della situazione della mobilità casa-lavoro è l’equivalente delle fondamenta nella costruzione di un nuovo edificio.

Il punto 3 delle Linee guida afferma che:

  • è necessario raccogliere tutte le informazioni ed i dati relativi alle esigenze di mobilità del personale e conoscere le condizioni strutturali aziendali, l'offerta di trasporto sul territorio, nonché le risorse disponibili per l'attuazione delle possibili misure utili a migliorare la mobilità del personale.

Peraltro, si afferma che la parte informativa e di analisi del Pscl debba contenere (contenuto minimo):

  • l’analisi delle condizioni strutturali aziendali e dell'offerta di trasporto;
  • l’analisi degli spostamenti casa-lavoro.

Insomma, bisogna capire, ad esempio:

  • con quale mezzo di trasporto le persone vengono al lavoro;
  • da dove arrivano (se partono tutti da una stessa zona è possibile fare viaggi organizzati, utilizzare un unico mezzo di trasporto);
  • se i mezzi privati sono eventualmente sostituibili dall’utilizzo di mezzi pubblici, o, in mancanza, istituendo un servizio di navetta aziendale.

Una volta effettuata questa ricognizione dei dati si può partire con la programmazione degli interventi che si possono mettere in atto e, come afferma il punto 4 delle Linee guida:

  • le misure da proporre nell'ambito del PSCL devono scaturire dall'incrocio tra la domanda di trasporto analizzata attraverso il questionario ai dipendenti e l'offerta di servizi aziendali e pubblici, tenendo opportunamente in conto la propensione al cambiamento dichiarata dai dipendenti, nonché le risorse aziendali disponibili.
  • Pertanto, non solo dobbiamo capire “come si muovono i dipendenti”, ma anche (e soprattutto) sapere se da parte loro c’è la volontà di intraprendere un cambiamento nelle abitudini di mobilità (e qui sarà estremamente strategico capire se i dipendenti potranno essere incentivati/premiati nel caso di pieno coinvolgimento col programma).

Qui sarà, dunque, il Mobility Manager che dovrà essere bravo nel capire come incentivare le persone, ma anche l’azienda svolgerà un ruolo da protagonista in tal senso: il Mobility manager suggerisce cosa poter incentivare sulla base dell’analisi effettuata sui dipendenti, ma se poi l’azienda non collabora (rectius, incentiva) in nessun modo, il gioco è finito. Un esempio molto semplice per intenderci. Il modo più scontato per ottimizzare gli spostamenti e favorire la riduzione dell’inquinamento è quello di fomentare l’utilizzo dei mezzi pubblici (treno, tram, metro, bus) al posto dell’auto privata.

  • I dipendenti potrebbero essere ampiamente incentivati nel loro utilizzo, ad esempio, istituendo un sistema di welfare (qui il Mobility manager può suggerirlo, ma è l’azienda a doverlo fare), col quale viene rimborsato integralmente l’importo degli abbonamenti per il trasporto pubblico.

In questo modo c’è un beneficio per i dipendenti (risparmio nelle spese di trasporto), al quale farà da corrispettivo un costo assolutamente non esorbitante per l’azienda, poiché:

  • non pagherà contributi sul rimborso dell’abbonamento, nel momento in cui stilerà un regolamento di welfare verso l’intera collettività;
  • acquisirà una buona reputazione, sia nei confronti dei dipendenti, ma anche verso l’esterno.

Per capirci, un potenziale candidato sarà più propenso a intraprendere un percorso di selezione in un’azienda che ha un buon piano di welfare: avere più candidati, per l’azienda significa anche avere maggior possibilità di scelta, ergo maggiori possibilità di avere in casa dei talenti.

  • La programmazione degli interventi da mettere in atto per migliorare la mobilità casa-lavoro dei dipendenti dovrà essere specifica e ben dettagliata, descrivendo sia come si può fare una determinata cosa (ad esempio, l’introduzione di welfare che consenta il rimborso dell’abbonamento per poter ridurre l’utilizzo dell’auto privata), sia i benefici conseguibili in caso di attuazione del piano, dal punto di vista aziendale/dei dipendenti (ma anche dal punto di vista della collettività: si pensi alla riduzione dei costi di trasporto, alla riduzione dell’inquinamento e alla riduzione del rischio stradale).

 

L'ADOZIONE DEL PSCL

  • Come abbiamo già visto, per com’è attualmente concepito il disegno normativo, il Pscl dev’essere adottato annualmente, entro il 31 dicembre di ogni anno, e dev’essere trasmesso al Mobility manager d’area del Comune competente.

Ma non è tutto: il Pscl deve anche essere comunicato ai dipendenti, di modo che tutti siano a conoscenza delle misure che si vogliono implementare, perché il coinvolgimento delle persone fa la forza ed è straordinariamente determinante per il raggiungimento del risultato finale.

A renderlo chiaro è il punto 6 delle Linee guida, secondo cui:

  • la partecipazione dei dipendenti non si esaurisce nella collaborazione iniziale di risposta al questionario e quindi nella raccolta delle abitudini comportamentali e delle loro esigenze e propensioni, ma prevede un coinvolgimento attivo anche per coloro che sono o possono essere direttamente interessati dall'implementazione di una specifica misura prevista. Inoltre, durante la fase di attuazione è necessario, altresì, dare continua pubblicità ai progressi ottenuti, perché è importante che le scelte siano condivise e accettate.
  • Una volta che il Pscl è stato adottato, il lavoro del Mobility manager non è concluso. Inizia, infatti, una nuova fase: il monitoraggio in relazione all’efficacia delle misure implementate.

Si tratta di una parte del lavoro che ha il fine di individuare criticità e/o possibili miglioramenti in vista del Pscl dell’anno successivo e che serve a valutare attentamente lo stato di avanzamento verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Insomma, il lavoro del Mobility Manager sarà un continuo work in progress e richiederà alle aziende coinvolte una forte collaborazione e un notevole dispendio di energie: sia detto per inciso, anche le parti sociali dovranno darsi da fare, poiché dovranno disciplinare, inquadrare (nella declaratoria dei loro Ccnl) questa nuova figura manageriale, o no? A questo punto è arrivato il momento di affrontare la domanda da un milione di dollari: cosa succede alle aziende che, pur essendo destinatarie dell’obbligo, non nominano alcun Mobility manager e, dunque, non si dotano del Pscl? La risposta a questa domanda è terribilmente disarmante: niente. Non succede niente! Il che è davvero molto curioso e ci lascia francamente basiti. Infatti, una delle caratteristiche fondamentali per l’efficacia di una norma è la sua coercitività, ossia la “punizione” inflitta a coloro che non rispettano una determinata disposizione.

  • È difficile capire come si possa chiamare “obbligo” un adempimento che, se non ci si mette in regola, non porta ad alcun tipo di conseguenza.

La ratio alla base di questo nuovo obbligo è già stata ampiamente esplicata all’inizio di questo articolo, ma, a modesto avviso di chi scrive, così si rischia di vanificare un obiettivo nobile (ottimizzare la mobilità urbana e ridurre l’inquinamento), per almeno i seguenti 2 motivi:

  • questo nuovo obbligo prevede dei passaggi che possono mettere in seria difficoltà l’organizzazione di qualsiasi azienda. Peraltro, le “regole del gioco” sono frammentate in tanti (troppi) piccoli decreti, e si sa che una normativa frammentata è sinonimo di disordine, cosa che non fa mai bene;
  • l’obbligo, in realtà, non è degno del nome.

Non è credibile un obbligo che non preveda alcuna conseguenza per i trasgressori. E non è tutto. Se proprio non si vuole sanzionare un’azienda che trasgredisce (forse questo è un bene, visto l’eccessivo procedimento burocratico da seguire) un’alternativa ci sarebbe, ed è quella di optare per la soluzione opposta a quella della sanzione: la premialità.

Ad esempio, si potevano prevedere premi per le aziende, oppure sgravi contributivi Inps (e/o assicurativi Inail) o, ancora, dei punti/crediti per le aziende che sono in regola e che partecipano a gare d’appalto (che, peraltro, è proprio quello che succede alle imprese che si dotano della certificazione della parità di genere, pur non essendone obbligate). Insomma, per concludere: la strada per ottimizzare la mobilità urbana nei percorsi casa-lavoro passa di certo anche per le aziende e per la volontà di cambiare delle persone che le popolano, ma questa disciplina, per come è stata messa a terra, non è la “strada” nella giusta direzione, probabilmente. Semplicità delle norme, meno burocrazia e più premialità per le aziende chi si mettono in regola: questa doveva, dovrà, essere la via da seguire.

ARTICOLO ESTRATTO DA: STRUMENTI DI LAVORO 2/2023 - EUROCONFERENCE EDITORIA

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