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SMART WORKING VS TELELAVORO: COSA LI DISTINGUE?

Scritto il 12 Settembre 2022

Con il ritorno al regime “ordinario” di gestione del vero smart working le aziende (e i consulenti che le seguono) dovranno essere pronte ad affrontare un cambiamento che è qua per restare. Il primo punto fondamentale sul quale fare chiarezza è diventato quasi amletico di questi tempi: smart working e telelavoro sono la stessa cosa? Cosa li distingue?

 

PREMESSA

Con le normative emergenziali e post pandemia il Legislatore ha creato un clamoroso malinteso, consistente nell’equiparazione del lavoro agile con una forma di “lavoro da remoto”; una gaffe, appunto, abbastanza sorprendente (comprensibile nei periodi più bui della pandemia, ma ora incomprensibile), visto che cozza tout court con la definizione giuridica contenuta nella L. 81/2017, all’articolo 18, secondo cui, in breve “il lavoro agile è una forma di organizzazione flessibile del lavoro, che si svolge in parte in azienda, in parte all’esterno.” Della serie: nemmeno la Legge che descrive lo smart working parla di “remotizzazione”, eppure le intenzioni di questo c.d. regime semplificato sono state quelle di consentire al datore di lavoro di “far lavorare da casa” i lavoratori.

Si tratta di un problema che contribuisce a fomentare un’altra concezione fallace, secondo cui quello che abbiamo fatto in pandemia era davvero smart working. Ed è proprio questa concezione che sta contribuendo a un’indegna polarizzazione delle opinioni: ormai abbiamo il partito del “no smart working” e quello dei “sì smart working”; e la questione spiacevole di fondo è che le divisioni tra queste 2 ideologie si basano sull’esperienza emergenziale, che, appunto, non può esser definita come un vero lavoro agile.

Insomma: ci si sta facendo l’opinione su un fenomeno, ma osservandone di fatto un altro. Un bizzarro “effetto sostituzione”. E allora cos’è quello che abbiamo fatto durante l’emergenza Covid? Sarà forse telelavoro? Forse sì. Ma nemmeno del tutto. Ed ecco che iniziamo ad addentrarci verso il cuore, il fine ultimo, di questo articolo, che è quello di fornire chiarimenti pratici e schematici che permettano di distinguere l’istituto del telelavoro da quello dello smart working.
Lo faremo parlando, dapprima, della breve evoluzione storica dei 2 istituti, per poi analizzare nel dettaglio le macro differenze.

 

EVOLUZIONE STORICA DEL FENOMENO: DAL TELELAVORO ALLO SMART WORKING

Prima grande puntualizzazione: smart working e telelavoro non sono 2 istituti nettamente distinti; semplicemente, il primo rappresenta l’evoluzione del secondo, in termini di flessibilità e di restituzione
di autonomia (e responsabilità) nei confronti dei lavoratori dipendenti.

Ma partiamo dal principio.

Il termine “telelavoro” si fa strada nel Bel Paese solo negli anni ‘90 (con ritardo rispetto ai nostri colleghi americani, che per primi lo hanno sperimentato con la prima forte diffusione del personal computer degli anni ‘80) e con esso si intendeva una nuova modalità di svolgimento di alcuni lavori da un luogo diverso rispetto alla sede aziendale, con l’ausilio di videoterminali. Ma non immaginiamo l’impiegato che lavorava da casa con un pc, dinamica che era ancora un lusso: si trattava più spesso di lavoratori che operavano in altri stabilimenti, magari controllando da remoto le macchine per la produzione industriale di articoli in serie.

È solo nel 1998 che l’Italia vede la prima produzione normativa in materia di telelavoro (L. 191/1998), che regolava lo svolgimento del telelavoro esclusivamente nell’ambito della P.A., ma che ci è comunque molto utile per capire come il Legislatore intendeva descrivere l’istituto:

  • Una forma di flessibilità nello svolgimento di attività lavorativa FUORI dall’ambito aziendale, attraverso l’utilizzo di strumenti informatici che consentono il collegamento a distanza con l’impresa.

Solo col passare degli anni arriva una prima regolamentazione del settore privato, che, però, non è contenuta in una Legge, bensì in un accordo interconfederale del 9 giugno 2004, di recepimento dell’accordo-quadro europeo del 16 luglio 2002.

 E poi? E poi è seguito un silenzio (normativo) durato 13 anni.

Arriviamo al 2017 quando l’Italia vede l’avvento della prima normativa in materia di smart working, contenuta all’articolo 18 ss., L. 81/2017: si tratta di una normativa basica, estremamente lacunosa e,
peraltro, poco applicata dalle imprese.

Solo nel 2020 si ha un’esplosione di utilizzo del termine smart working a causa della pandemia, che, appunto, ha avuto un duplice effetto:

  • uno positivo, che è quello di aver portato alla conoscenza generale delle persone (e delle imprese) l’esistenza di questa modalità alternativa di svolgimento della prestazione di lavoro;
  • l’altro negativo, consistente, appunto, nell’effetto distorsivo di percezione dell’istituto. Abbiamo sentito parlare a ripetizione di smart working, ma lo abbiamo svolto in modo improprio, o quanto meno incompleto. Il lavoro agile è “lavoro per obiettivi”, senza precisi vincoli di orario e di luogo.

Noi, invece (leggi: la maggior parte di noi), lo abbiamo fatto solo ed esclusivamente da casa (perché alternative non se ne vedevano) e in orario di lavoro.

 

DIFFERENZE FORMALI E SOSTANZIALI TRA TELELAVORO E SMART WORKING

Fatte queste doverose premesse, utili per comprendere l’evoluzione del quadro storico nella materia oggetto del presente articolo, possiamo addentrarci negli aspetti tipici che distinguono il telelavoro
dallo smart working, il quale, come abbiamo anticipato, altro non è che un’evoluzione del telelavoro. Per farlo analizzeremo i 2 istituti sotto una serie ordinata di punti di vista, partendo dalla descrizione normativa per arrivare fino agli aspetti legati al luogo di lavoro, all’orario, alla volontarietà e alla sicurezza.

 

DEFINIZIONI

TELELAVORO  SMART WORKING

Articolo 1, comma1, accordo interconfederale del 9 Giugno 2004

Il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell'informazione nell'ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l'attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell'impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa.

Articolo 18, comma 1 della Legge 81/2017

Modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno se una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla cotrattazione collettiva.

 Possiamo subito notare le prime differenze in merito, in particolare, al luogo di lavoro, che se nel telelavoro viene “regolarmente svolto fuori dall’impresa” (e, come vedremo poi, anche in un luogo fisso e predeterminato), nello smart working avviene, invece, in parte fuori in parte dentro i locali aziendali. Inoltre, come si può osservare, la descrizione dello smart working è più completa e delineata, quasi a definire non solo una mera “modalità di esecuzione alternativa” del lavoro subordinato, bensì una vera e propria nuova filosofia manageriale, una nuova concezione di vivere il lavoro. Ed è per questo che l’osservatorio nazionale dello smart working presso il Politecnico di Milano, andando oltre la descrizione normativa, lo definisce come:

  • Una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Nello smart working non si guarda più al tempo trascorso in ufficio; si guarda al risultato e al raggiungimento degli obiettivi.

 

CARATTERE VOLONTARIO

Quanto al modo in cui si instaura un rapporto di telelavoro e di smart working, siamo di fronte non a differenze, bensì a una vera e propria similitudine.

  • Infatti, in entrambi i casi, l’accordo individuale volontario è il perno fondante: ne discende che il rifiuto a sottoscrivere un accordo di questo tipo non possa mai essere, di per sé, giustificato motivo
    di licenziamento.
  • In entrambi i casi v’è reversibilità dell’accordo; ciò può avvenire sia da parte del lavoratore, sia da parte del datore di lavoro, che possono dunque decidere di tornare sui propri passi, revocando un accordo precedentemente firmato.

Quanto al recesso va, però, detto che la normativa sullo smart working è più puntuale, prevedendo espressamente che, in caso di accordo a tempo indeterminato, vi deve essere un preavviso minimo di 30 giorni per recedere dall’accordo (che salgono a 90 in caso di lavoratore disabile), che si annulla solo nel caso in cui sia presente un giustificato motivo. Nel telelavoro non esistono precisazioni in merito al preavviso da dare per poter esercitare il recesso.

Possiamo, infine, sfatare un mito, che si legge spesso in alcuni blog su internet: non è assolutamente vero che il telelavoro è una scelta che si fa all’origine del rapporto di lavoro; l’accordo di telelavoro, come lo smart working, può essere sottoscritto sia in sede di assunzione, sia a rapporto già in corso.

 

LUOGO DI LAVORO E SICUREZZA

In questo ambito le differenze, invece, sono notevoli.
Come anticipato nella parte dedicata alla descrizione dei 2 istituti, lo smart working rappresenta un enorme passo in avanti in termini di flessibilità. Infatti, nello smart working non esiste, per definizione, un luogo preciso ove svolgere la prestazione, che, peraltro, per espressa previsione di Legge (articolo 18, L. 81/2017) può anche essere svolto in azienda: nelle giornate di smart working il lavoratore può benissimo decidere di rimanere nei locali aziendali, magari in zone di co-working appositamente adibite oppure può lavorare da casa sua oppure in qualunque altro luogo di sua scelta, nel solo rispetto di eventuali limitazione previste dall’accordo (sono legittimi, ad esempio, accordi che limitano la possibilità di scelta del luogo entro un raggio chilometrico più o meno ampio dalla sede aziendale, oppure solo su alcune Regioni).

Insomma, massima flessibilità:

  • Nel telelavoro, invece, non esiste una scelta autonoma e flessibile del luogo, che pertanto e predeterminato nell’accordo. Ogni mutazione del luogo ove svolgere telelavoro dovrà essere concordata col datore di lavoro e ciò costituirà una vera e propria modifica dell’accordo.

Ma vi è di più:

  • il luogo di lavoro ha rigide implicazioni per quanto riguarda la sicurezza (solo nel telelavoro). Infatti, come previsto dall’articolo 7, comma 3 dell’accordo interconfederale del 9 giugno
    2004, al fine di verificare la corretta applicazione della disciplina applicabile in materia di salute e sicurezza,  il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e/o le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il telelavoro, nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi. Ove il telelavoratore svolga la propria attività nel proprio domicilio, tale accesso è subordinato a preavviso ed al suo consenso, nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi.

Si tratta di una previsione molto stringente, che lascia poco spazio alla flessibilità. Il luogo del telelavoro è quello stabilito e il telelavoratore non può mai modificarlo, perché il datore di lavoro
potrebbe sempre andare a verificare se il lavoratore sta rispettando le disposizioni in materia di sicurezza aziendale.

Questa cosa nello smart working non accade in nessun modo; i doveri sulla sicurezza sono adempiuti semplicemente:

  • fornendo al lavoratore un’informativa in materia di salute e sicurezza, con la quale lo si sensibilizza alla scelta di luoghi idonei e lo si mette al corrente di nuovi e ulteriori rischi derivanti dallo svolgimento della prestazione lavorativa fuori dalla sede ordinaria;
  • aggiornando almeno con cadenza annuale l’informativa.

Insomma: il lavoratore viene responsabilizzato, anche per quanto riguarda la sicurezza.

 

ORARIO DI LAVORO

L’orario di lavoro è un altro aspetto in cui lo smart working vince la partita della flessibilità:

  • Nel lavoro agile il lavoro viene impostato in maniera tale che sia garantita una sostanziale autonomia nello svolgimento della prestazione, pur sempre nell’ambito degli obiettivi prefissati;
  • Quindi non esiste (o meglio: non dovrebbe esistere) una precisa collocazione oraria entro il quale svolgere il lavoro, e lo dice sia la Legge (L. 81/2017) sia il recente Protocollo nazionale sul lavoro
    in modalità agile, siglato da Governo e parti sociali il 7 dicembre 2021; al massimo, si fissano delle fasce di reperibilità, ma mai una rigida imposizione oraria (se, invece, ciò viene fatto non
    chiamatelo smart working, perché semplicemente non lo è, sic et simpliciter).

Nel telelavoro la questione è invece più “sotto traccia”: è vero che l’articolo 8 dell’accordo interconfederale del 9 giugno 2004 prevede genericamente che “il telelavoratore gestisce l’organizzazione del proprio tempo di lavoro”, ma va osservato che le premesse del medesimo accordo interconfederale prevedono che il telelavoratore deve assicurare un continuo e costante collegamento con la sede aziendale, arrivando addirittura a escludere dal campo applicativo dell’accordo il c.d. telelavoro off-line, ossia quello in cui, appunto, non si può assicurare un collegamento telematico continuo e costante. Ne consegue che il telelavoratore può (e deve) operare solo in orario di apertura della sede, perché in altri momenti un collegamento perpetuo di questo tipo non potrebbe essere assicurato.
E dunque, come a dire: “caro telelavoratore, ti puoi organizzare i tempi, ma comunque sempre nell’orario di lavoro ordinario”. Si può benissimo osservare come, in una situazione del genere, la flessibilità sia molto limitata. E si badi: questo fenomeno è proprio quello che ha caratterizzato il lavoro emergenziale spacciato per smart working.

 

GLI STRUMENTI DI LAVORO

Quanto alla strumentazione utile per svolgere la prestazione non si segnalano particolari differenze tra i 2 istituti. Infatti, in entrambi i casi le regola generale è che “gli strumenti vengono forniti dal datore di lavoro, salvo accordo contrario”.
Curiosa e degna di nota è, invece, la questione sui rimborsi spesa.
Nel telelavoro è previsto l’obbligo del rimborso spesa di tutto quanto sostenuto dal telelavoratore per svolgere la prestazione; lo prevede l’articolo 6, comma 3 dell’accordo interconfederale del 9 giugno
2004, che citiamo integralmente:

  • Ove il telelavoro venga svolto con regolarità, il datore di lavoro provvede alla compensazione o copertura dei costi direttamente derivanti dal lavoro, in particolare quelli relativi alla comunicazione.

Ebbene, va chiarito che, per contro, una previsione del genere non esiste nello smart working, nel quale l’obbligo di rimborso spese non sta scritto da nessuna parte. Le motivazioni di tal differenze possono essere molteplici (non esiste una risposta certa), ma il ragionamento potrebbe esser questo: è come se lo smart working venisse inteso come benefit; il datore di lavoro riconosce flessibilità e autonomia al lavoratore, che detta i tempi della giornata, scegliendo da dove e quando lavorare, nel rispetto degli obiettivi prefissati.

Siccome nel telelavoro questa flessibilità ampia non esiste, ecco che viene previsto l’obbligo del rimborso spese.

 

DIRITTI SINDACALI, PARITA' DI TRATTAMENTO, FORMAZIONE E INFORMAZIONE

Nessuna differenza da segnalare, invece (come è ovvio e giusto che sia), per quanto riguarda il generale principio della parità di trattamento: sia il telelavoratore che lo smart worker hanno eguali diritti sia ambito sindacale, retributivo o di diritto alla formazione rispetto ai loro pari che non hanno sottoscritto un accordo.

 

GESTIONE E AMMINISTRAZIONE: LA PRATICA PER AZIENDE E CONSULENTI

Ed eccoci all’ultimo punto oggetto di comparazione, questa volta con sostanziali (e formali) differenze:

  • Per quanto riguarda lo smart working, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, L. 81/2017, è previsto che l'accordo individuale e le sue modificazioni devono essere comunicati telematicamente al
    Ministero del lavoro e delle politiche sociali tramite apposita procedura telematica, a cui si accede sul noto sito cliclavoro.gov.it;
  • Nel telelavoro un obbligo di questo tipo non esiste.

Perché? Qual è la ratio?

È presto detto; ve ne sono almeno 2:

  • La prima è insita nel concetto di flessibilità ampio dello smart working. Siccome il lavoratore non ha più luoghi e orari precisi, è bene che l’accordo fondante la nuova modalità di svolgimento della prestazione sia registrato al Ministero, in modo da garantire chiarezza e trasparenza ai fini della prova (se qualcuno ha dubbi, ad esempio, sulle modalità di svolgimento della prestazione, sulla collocazione delle giornate di smart working oppure sulle modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo, “carta canta”. Il documento è registrato al Ministero e nessuno può dire cose contrastanti);
  • L’altro aspetto è legato alla sicurezza. Abbiamo visto che nel telelavoro il rispetto della normativa in materia di sicurezza è garantito dalla possibilità del datore di lavoro di condurre vere e proprie “ispezioni” sul luogo del telelavoro, per verificare il rispetto della normativa; siccome questo non succede nel lavoro agile, il deposito dell’accordo che prevede lo svolgimento atipico della prestazione lavorativa è in grado di tutelare il lavoratore contro il rischio infortuni. Della serie: il lavoratore si è fatto male in un luogo totalmente estraneo al luogo di lavoro? Vediamo se esisteva un accordo di smart working che gli consentiva lo svolgimento del lavoro in questa modalità, e vediamo come comportarci: infortunio o non infortunio? - Con l’accordo depositato il lavoratore è sicuramente più tutelato.

Fatta questa ampia comparazione, proviamo a riassumere quanto detto nella seguente tabella.

  Smart working L.
81/2017
Telelavoro Lavoro “da casa” causa
Covid - normativa
emergenziale
Accordo Obbligatorio Obbligatorio Non necessario
Luogo di lavoro fisso Non previsto Previsto in modo rigido Domicilio del lavoratore
Orario Nessuna fascia oraria rigida (solo eventuali
fasce di reperibilità)
Va garantito il collegamento con la sede
costante
Va garantito il collegamento con la sede
Sicurezza Trasmissione dell’informativa (al
lavoratore) con cadenza
annuale
Il datore di lavoro può “ispezionare” il luogo del
telelavoro
Trasmissione dell’informativa al
lavoratore
Strumenti Di regola, forniti dall’azienda Di regola, forniti dall’azienda Di regola, forniti dall’azienda
Rimborso spese sostenute dal lavoratore Non previsto Previsto Non previsto
Comunicazione al Ministero Sì, obbligatoria, con deposito dell’accordo
scritto
Non prevista Sì, ma in modalità semplificata (non si
deposita l’accordo scritto) fino al 31 agosto
2022

Una valutazione ad hoc dovrebbe essere fatta per la P.A., dove il lavoro a distanza è stato praticamente generalizzato dalla primavera del 2020 a gennaio 2022; analizzando i risultati pubblicati dall’Istat in questi giorni, in merito alla soddisfazione degli utenti, si potrebbe parlare di luci e, soprattutto, ombre (quasi 2/3 dei cittadini si sono lamentati dei ritardi nei servizi pubblici): ma, in fondo, poteva andare peggio, se poi consideriamo l’impatto positivo sull’ambiente generato dal lavoro dallo smart working.

 

CONCLUSIONI

Insomma, ora che la comparazione è conclusa possiamo affermarlo senza troppi dubbi: quello che abbiamo fatto nel periodo pandemico (e che in molti continuano a fare) non è smart working e non è
nemmeno telelavoro. Si tratta semplicemente di una forma ibrida con più punti in comune col telelavoro, ma che, per il solo fatto che non necessita di accordo, prende il peggio di entrambe le forme.
Il lavoro emergenziale aveva un senso quando non c’era alcuna alternativa; ora è tempo di fermarlo e di sensibilizzare imprese e lavoratori: lo smart working è una grande opportunità, che restituisce
autonomia e responsabilità a tutti. Ma per capirlo dobbiamo partire da un assunto fondamentale: non abbiamo mai fatto vero smart working e, se vogliamo farlo (chiaramente nei settori ove è possibile
svolgerlo, ça va sans dire), dobbiamo rimettere in discussione la concezione culturale di come si vive il lavoro, i new workers (millennials e generazione Z) osservano e attendono con attenzione, per decidere cosa fare e “che ne sarà di loro”.

 

ARTICOLO ESTRATTO DA: EUROCONFERENCE - LA CIRCOLARE DI LAVORO E PREVIDENZA N. 26 DEL 16 GIUGNO 2022

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