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SMART WORKING POST PANDEMIA: COME FARE E QUALI ACCORGIMENTI PER LE AZIENDE

Scritto il 22 Dicembre 2021

Ma torniamo coi piedi per terra, guardando la realtà attuale di moltissime imprese dove lo smart working è praticato solamente a causa della pandemia in corso

Ci accorgeremo che molte di queste aziende non sono sufficientemente organizzate da un punto di vista informatico (lo smart working richiede, infatti, un’ottimale dotazione di hardware, software, connettività, punti di accesso sicuri per proteggere le informazioni riservate, di modo che siano accessibili da remoto senza compromettere la sicurezza informatica e senza ledere la privacy di nessuno), da un punto di vista della formazione (il personale deve avere la possibilità di formarsi, capire come utilizzare determinati strumenti, ricevere consigli per svolgere un lavoro sempre più smart) e non sono pronte a gestire lo smart working al termine dello stato di emergenza da un punto di vista giuridico-contrattualistico, per un motivo molto semplice: la legislazione emergenziale ha derogato temporaneamente l’obbligo dell’accordo tra le parti, dunque poche aziende sono formate su tal punto, e non saranno pronte (o comunque, avranno delle difficoltà) a mettersi in regola.

Vediamo, dunque, di dare dei consigli pratici ai lettori, su quali sono i passi da seguire per mettere in piedi un buon sistema di smart working “reale”, alla luce delle disposizioni contenute nell’articolo 18 ss., D.Lgs. 81/2017.

La prima cosa da fare è redigere un buon regolamento aziendale, che funga da vera e propria “Costituzione” dello smart working aziendale. Sul punto, va detto che, in realtà, la vigente normativa non prevede l’obbligo di dotarsi di un regolamento (l’obbligo riguarda semplicemente l’accordo tra le parti, il quale deve appunto sussistere tra datore di lavoro e lavoratore che aderisce allo smart working). Dotarsi di un buon regolamento aziendale di lavoro agile permette, poi, di redigere l’accordo tra le parti in modo molto più agevole, in quanto sarà possibile avere un accordo più snello, che potrà rimandare ad alcuni punti fondamentali del regolamento.

Ecco cosa inserire nel regolamento aziendale di smart working:

  • una breve premessa generica, con la quale si esplica cosa significa fare smart working e perché l’azienda ha deciso di sposare la realtà del lavoro agile (ad esempio, la volontà di consentire ai dipendenti di conciliare al meglio le proprie esigenze private e sociali con la vita professionale);
  • le modalità con quali il dipendente o l’azienda potranno richiedere l’uno all’altro di aderire allo smart working (ad esempio, richiesta scritta, richiesta verbale, e nei confronti di chi avanzare la richiesta);
  • quali sono i lavoratori che hanno diritto di priorità nell’aderire allo smart working (ad esempio, l’azienda potrebbe voler dar priorità a genitori con figli sotto i 3 anni);
  • individuare le mansioni e le famiglie professionali che possono beneficiare dello smart working, poiché non tutte le attività si prestano al lavoro agile. Potrebbe essere utile fissare anche una pletora di regole sui criteri di selezione dei lavoratori, che, con mansioni equivalenti, possono accedere al lavoro agile: tra le regole più utilizzate nella pratica in azienda citiamo i carichi famigliari, la salute, l’anzianità di servizio del dipendente, la distanza della residenza del lavoratore dalla sede di lavoro

Completato il passaggio regolamentare, lo step successivo sarà quello di redigere l’accordo tra le parti (un singolo accordo per ogni lavoratore in smart working), il quale dovrà essere conforme sia al Capo II, D.Lgs. 81/2017, appunto la fonte normativa dello smart working nel nostro ordinamento, ma anche al regolamento aziendale.

Ecco i punti cui fare più attenzione e che devono essere indicati in un buon accordo:

  • la durata dell’accordo: essa potrà essere a tempo determinato, oppure a tempo indeterminato; nel caso di tempo indeterminato, sarà bene esplicare la durata minima del preavviso per potervi recedere, che, ai sensi dall’articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2017, non può essere inferiore a 30 giorni (che diventano 90 giorni, nel caso di lavoratori disabili);
  • i giorni della settimana o del mese in cui si svolge lavoro agile. Nel caso in cui non sia possibile prefissarlo in modo rigido, è possibile usare formule del tipo: “Ogni venerdì verranno fissati i giorni di smart working della settimana successiva, in base alle esigenze aziendali; le giornate di smart working non dovranno in ogni caso essere inferiori a __ giorni”;
  • la modalità di svolgimento del potere di controllo. È un punto molto importante da specificare, perché tramite esso il datore di lavoro potrà via via verificare lo stato di avanzamento dei lavori o degli obiettivi. Attenzione, però: lo smart working fa rima con “delega e senso di responsabilità”. Si consiglia, pertanto, di non irrigidire troppo il controllo che il datore svolge sullo smart worker. Ad esempio, l’accordo potrebbe semplicemente prevedere (in modo molto flessibile) che il datore di lavoro possa, in ogni momento, chiedere al lavoratore di dover rendere conto del proprio operato, e il lavoratore ha l’obbligo di risposta “entro un tempo ragionevole, al fine di consentire al datore la sua funzione di direzione e organizzazione dei lavori aziendali”;
  • un’eventuale fascia di reperibilità: essa sarebbe molto utile a garantire una fascia oraria in cui rendersi disponibili via mail o smartphone oppure per espletare il coordinamento con gli altri colleghi (per esempio per eventuali riunioni in modalità virtuale mediante Skype/Zoom/Teams/Hangouts, etc.). Attenzione, però, a non rendere questa fascia troppo ampia, perché andrebbe contro il senso di autonomia nella gestione dei tempi, insito nel lavoro agile;
  • gli strumenti tecnologici dati in dotazione, magari allegando anche una dichiarazione a che il lavoratore si assuma la responsabilità del loro corretto uso e della loro tenuta efficiente;
  • eventuali fatti/situazioni che, se si verificano, legittimano la richiesta aziendale a che il lavoratore rientri immediatamente in sede. Potrebbe essere un buon esempio di motivo valido il malfunzionamento della dotazione tecnologica, che non consenta la prosecuzione della prestazione lavorativa a distanza;il diritto al distacco: elemento importantissimo; è fondamentale specificare nell’accordo che, al termine della giornata lavorativa (che può svolgersi secondo l’articolazione oraria più comoda, ma comunque nei limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero), il lavoratore dovrà distaccarsi da tutti i dispositivi elettronici con i quali lavora. Si tratta di un diritto/dovere fondamentale, che dovrebbe aiutare il lavoratore a tracciare una linea di separazione netta tra il mondo del lavoro e la vita privata (proprio quella linea che, come dicevamo, sembrava invisibile a inizio pandemia).

E poi? Null’altro? In realtà, dipende (dalle esigenze aziendali).

La normativa, infatti, prevede solamente che l’accordo disciplini “l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Dunque, se l’azienda volesse prevedere ulteriori clausole che non siano in contrasto con la legge (senza di dimenticarsi di redigere anche un’eccellente informativa sulla sicurezza dello smart worker), sarà libera di farlo.

Smart working con fissazione degli obiettivi: alcune aziende (e studi professionali) richiedono ai propri collaboratori di predisporre un elenco delle attività che essi svolgeranno nei giorni di
lavoro agile; altre fanno redigere a consuntivo agli smart workers una reportistica sugli obiettivi realizzati al termine di ciascun periodo di riferimento; un’altra casistica interessante prevede che ai lavoratori venga sottoposto un questionario sulle attività da eseguire nei giorni di smart working, per permettere al responsabile di poter effettuare una verifica ex post sull’adempimento delle prestazioni previste nel documento. In sintesi, possiamo evidenziare serenamente che l’assegnazione di obiettivi misurabili nella loro dimensione qualitativa e quantitativa è senz’altro the best practice per controllare l’attività del lavoratore subordinato, per rispondere alla seguente domanda cruciale: le attività svolte dal lavoratore agile sono in linea con le aspettative e le esigenze dell’impresa?

Il ruolo della contrattazione collettiva

La domanda che ora ci si pone è: in questo panorama normativo alquanto lacunoso, dove la legge si limita a dettare alcune semplici previsioni di carattere per lo più generale e ampio, come si pongono i Ccnl?
La risposta è che anche i Ccnl, spinti dall’ondata di ricorso al lavoro agile a causa del COVID-19, stanno iniziando solo ora a disciplinare la questione. Pertanto, nel momento in cui un’azienda si trovi a dover redigere regolamento e accordo di smart working, sarà fondamentale verificare la presenza di previsioni ulteriori, in alcuni casi ben più limitanti rispetto alla disciplina ordinaria disegnata dal decreto del 2017.  

Ne è un esempio il Ccnl del settore bancario, che pone un importante limite al luogo ove svolgere la prestazione agile, il quale, se non si tratta del domicilio del lavoratore, deve sempre essere espressamente autorizzato dall’azienda.
Insomma, lo smart working sta letteralmente esplodendo e spopolando nel mondo del lavoro e non bisognerebbe rimanere sorpresi se entro la fine dell’anno la maggior parte dei Ccnl dovesse andare a regolare lo smart working in modo ben più dettagliato e articolato.

Nell’attesa, non resta che augurare buon smart working (quello vero) a tutti.

 

Articolo estratto da Euroconference Lavoro di Mercoledì 20 Ottobre 2021

 

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