Cassa integrazione (e alcune non ancora pagate!) verso il termine: che ne sarà delle aziende e dei loro dipendenti?
Scritto il 16 Giugno 2020
Secondo un rapporto pubblicato dall’ente, l’INPS dovrebbe ancora pagare circa l’11% (dato medio tra i vari ammortizzatori sociali) delle integrazioni salariali, stando alle prenotazioni di richiesta ricevute.
Il 4 giugno 2020 l’INPS, con una nota pubblicata sul proprio sito istituzionale, ha comunicato che vi sono dei lavoratori che non hanno ancora ricevuto i pagamenti delle Casse integrazioni di competenza INPS (CIGO, FIS, CIGD) relative alla prima Tranche, ossia la prima parte di cassa concessa già a marzo dal D.L Cura Italia.
La quota di pagamenti ancora da effettuare è di circa l’11%.
Va però detto che il dato qui in analisi si riferisce alle “prenotazioni di risorse”, e non alle domande effettive di fruizione dell’ammortizzatore, le quali si riscontrano solo nel momento dell’effettivo invio del modello SR41, o con la denuncia Uniemens nel caso in cui vi sia l’anticipo della cassa da parte dell’azienda.
Ma andiamo a vedere i numeri relativi agli SR41 già ricevuti.
L’INPS, al 4 giugno, avrebbe ricevuto 1'316’176 modelli di SR41, a fronte di 1'165'625 pagati. Restano quindi da pagare 150'551 modelli SR41, che ammontano a ben 419'670 lavoratori, che restano ancora senza le dovute integrazioni salariali. Un numero di persone sicuramente non basso.
È poi di oltre 4 milioni il numero di beneficiari potenziali che hanno già ricevuto i pagamenti in forma di anticipazione da parte delle aziende, che dovranno poi recuperare quanto anticipato in sede di conguaglio uniemens, da effettuarsi nel mese successivo a quello della sospensione.
Osserviamo ora il dato delle prestazioni ancora da pagare, suddiviso per singolo ammortizzatore sociale di competenza INPS:
- Nel caso di Cassa Ordinaria (CIGO) abbiamo 423'737 domande pervenute all’INPS; di queste ne risultano autorizzate 407'982; risultano invece ricevuti 381'260 modelli SR41, dei queli 354'421 sono stati messi in pagamento, per un totale del 93% delle richieste, pari a poco più di 1,3 milioni di lavoratori.
- Nel caso di assegno ordinario del Fondo di Integrazione Salariarle (FIS), vi sono 181'897 domande inviate, che corrispondono a poco meno di 2,7 milioni do lavoratori. A fronte di questi numeri, gli SR41 ricevuti sono 135'333, di cui 117'446 già pagati, pari all’87% del totale.
- Nel caso di Cassa in Deroga (CIGD), le quali, a differenza degli altri ammortizzatori sociali, sono state determinate dalle singole Regioni per poi essere inoltrare all’INPS per l’autorizzazione al pagamento, le domande sono state 572'718; di queste 520'885 sono state autorizzate, pari al 90% circa delle domande, e con 1,2 milioni di lavoratori pagati.
Insomma, i ritardi ci sono, e molti lavoratori sono ancora senza stipendio per periodi anche lunghi (considerato che la maggior parte delle aziende hanno fatto cassa in modo continuativo).
Per questo il decreto rilancio ha cercato di correre ai ripari introducendo delle semplificazioni nelle procedure di richiesta cassa e di invio SR41.
In particolare:
- sono stati introdotti termini più stringenti per l’invio delle istanza, con previsione di una penalizzazione nei casi di presentazione della domanda tardivamente.
- Per la CIGD è previsto che le ulteriori 5 settimane di cassa entro agosto siano autorizzate direttamente dall’INPS, e non dalle regioni, a cui si potrà presentare le dovute domande a partire dal 18 giugno.
Semplificazioni che tuttavia non sembrano possano risolvere integralmente tutte le cause degli innumerevoli ritardi; la burocrazia è ancora tanta, molte le incertezze e troppe le differenze.
L’incongruenza principale che andrà risolta è quella tra la durata della cassa e il blocco dei licenziamenti; la prima che può essere prorogata di altre 5 settimane oltre alle 9 già iniziali (ad eccezione dei settori di turismo, fiere e congressi), mentre il blocco licenziamenti andrà avanti fino al 17 agosto. Bene. È sacrosanta la volontà di tutelare i lavoratori.
Ma vanno tutelate anche le imprese, motore dell’economia italiana. Si, perché in questo modo, c’è un lasso di tempo troppo grande tra la fine della cassa integrazione e il blocco licenziamenti, nel quale le imprese avranno l’obbligo retributivo, ma non potranno integrare in alcun modo gli stipendi dei dipendenti in caso di sospensione dell’attività lavorativa, a causa del Covid-19.
Bisogna correre ai ripari e sistemare tutte le incongruenze: non possiamo permetterci ulteriore incertezza.
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