La disciplina dell’orario di lavoro
Scritto il 06 Novembre 2019
A norma del Decreto Legislativo n. 66/2003 rientra nella nozione di orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore si trova al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni. Ne consegue che rientrano nell’orario di lavoro anche le attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento delle mansioni affidate, quali, ad esempio, il tempo necessario ad indossare o togliere la divisa aziendale secondo tempi e luoghi stabiliti dal datore di lavoro (c.d. “tempo tuta”), il tempo necessario a percorrere il tratto che collega lo spogliatoio al reparto (c.d. “tempo di percorrenza”), il tempo impiegato per spostarsi dal punto di raccolta al luogo di lavoro (generalmente, il cantiere).
La disciplina dell’orario di lavoro si applica a tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato delle aziende appartenenti a tutti i settori di attività, salvo alcune eccezioni (autotrasporti in particolare).
La distribuzione giornaliera e settimanale dell’orario di lavoro può essere liberamente regolamentata dal datore di lavoro nel rispetto dei limiti fissati dalla disciplina di legge e dalla contrattazione collettiva.
L’orario individuale di lavoro deve essere indicato nella lettera di assunzione mediante rinvio alla disciplina collettiva oppure mediante specifica previsione dello stesso nell’arco della giornata, della settimana, del mese e dell’anno: più che mai l’orario di lavoro dovrà essere dettagliato nel caso di prestazione lavorativa part time.
Eccetto particolari deroghe previste dalla legge per specifiche categorie di lavoratori, il regime orario normale di lavoro (c.d. “regime generale”) è pari a 40 ore settimanali, salvo che i contratti collettivi stabiliscano una durata inferiore o riferiscano l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno.
In tale ultima ipotesi si parla di orario multiperiodale: l’azienda, per far fronte a variazioni cicliche delle esigenze produttive, può osservare orari settimanali superiori od inferiori a quello normale, purché la media delle ore prestate in un anno corrisponda a 40 settimanali (o alla minor durata stabilita dal contratto collettivo applicato).
Sempre con riferimento al regime generale, occorre precisare che la legge non stabilisce un limite massimo di durata giornaliero della prestazione lavorativa, ma si limita a prescrivere il diritto del lavoratore ad un riposo giornaliero di minimo 11 ore consecutive nell’arco delle 24 ore. Dal che si ricava, a contrario, che l’orario giornaliero di lavoro potrà essere di massimo 13 ore.
Inoltre, quando l’orario di lavoro giornaliero supera le 6 ore, il lavoratore ha diritto ad una pausa finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche, all’eventuale consumazione del pasto ed all’attenuazione del lavoro ripetitivo e monotono.
Generalmente la durata della pausa è stabilita dalla contrattazione collettiva. In assenza di previsioni contrattuali, la legge prescrive il diritto per il lavoratore ad una pausa di almeno 10 minuti consecutivi (in teoria non retribuita), da fruire anche sul luogo di lavoro. Spetta al datore di lavoro stabilire liberamente il momento in cui il lavoratore potrà godere della pausa.
Rispetto a quanto sopra può essere di aiuto quanto previsto dal DVR (documento di valutazione dei rischi previsto dal Decreto Legislativo 81 del 2008), il quale spesso prevede l’obbligo di una pausa (in questo caso retribuita) di alcuni minuti dopo un tot di ore consecutive di lavoro (in genere ogni massimo 6 ore).
Inoltre la legge contempla il diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni, di regola coincidente con la domenica, da intendersi come media in un periodo non superiore a 14 giorni.
L’attività lavorativa eventualmente prestata in un giorno di riposo settimanale deve essere compensata con il riposo in un giorno diverso e deve essere retribuita secondo le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva.
Nel caso il datore di lavoro non riconosca il riposo compensativo, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla maggiorazione retributiva di cui sopra, anche al risarcimento del danno per usura psico-fisica per il mancato riposo settimanale.
Il datore di lavoro che violi le disposizioni in materia di orario di lavoro e riposo lavorativo è soggetto a sanzione amministrativa, che varia a seconda dell’infrazione commessa nonché a seconda della frequenza con cui è stata violata la norma di legge.
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