Nomadi digitali, c’è il riconoscimento per legge: da filosofia (per pochi) a opportunità (per tutti e dappertutto)
Scritto il 09 Settembre 2022
La L. 25/2022, di conversione del D.L. Sostegni-ter, è stata approvata con numerosi emendamenti e, tra questi, c’è il riconoscimento ufficiale del “nomade digitale”. In questo articolo scopriamo di cosa si tratta, per comprendere come (e perché) si è arrivati a normare questa figura professionale emergente.
PREMESSA
Gli ultimi 2 anni, complici una serie di fenomeni sociali innescati dalla pandemia, sono stati un vero e proprio booster di cambiamenti che erano già in atto da tempo, ma che hanno visto un’immensa e improvvisa accelerazione.
Tra questi cambiamenti c’è sicuramente un diffuso mutamento di paradigma nella concezione della vita lavorativa: le persone cercano più flessibilità, benessere personale, oltre a un generale miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro.
Tra le principali conseguenze di questo switch sul come debba essere intesa la vita professionale c’è, senza dubbio, l’esplosione dello smart working.
Si badi: in questa sede, per smart working, non ci limitiamo a parlare del lavoro agile normato dalla L. 81/2017, ma ne parliamo come fenomeno globale diffuso e in espansione repentina in tutto il mondo.
Ed ecco che potremmo riassumere il pensiero alla base di questa rivoluzione con queste parole:
- Le persone stanno aumentando la consapevolezza che la vita è una sola, e non è possibile passare la maggior parte del tempo in rigidi schemi professionali, ove si lavora sempre in un determinato luogo e ad un determinato orario; il fenomeno non è più “di nicchia”, la digitalizzazione rende possibile svolgere da remoto sempre più attività (non tutte, come è ovvio, ma sempre di più in una società di servizi come la nostra).
Questa nuova consapevolezza è sicuramente una delle cause che, nel 2021, hanno innescato il fenomeno della Great Resignation (le grandi dimissioni, consistenti in un numero elevatissimo di dimissioni volontarie, appunto all’interno di un ristretto periodo temporale).
E attenzione. Non si tratta di un’opinione personale, ma di fatti ben visibili osservando i dati.
A titolo di esempio, possiamo citare un’interessante ricerca condotta da Personio (i cui risultati sono stati pubblicati a marzo 2022; la ricerca prende il nome di “HR STUDY 2022”), secondo cui il 40% degli intervistati in Italia (la ricerca è condotta su scala europea) cita come possibile motivazione a rimanere nel posto attuale il miglioramento del work-life balance, raggiungibile, appunto, con piani di flessibilità.
A livello europeo, la percentuale di chi desidera la maggior flessibilità e il miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro per “rimanere in azienda” sale addirittura al 52% (per dovere di cronaca, le altre condizioni più votate sono: la possibilità di ricevere apprezzamento e riconoscimento dal lavoro svolto, la possibilità di ricevere maggior formazione e un aumento degli stipendi).
Insomma, i risultati sono chiari: per essere attrattivi (e per non far scappare i fuoriclasse) bisogna implementare sistemi di smart working, intesi in senso ampio come “piani di flessibilità professionale”.
Ma le forme di smart working sono tutte uguali?
DALL'HOME WORKING AL NOMADISMO DIGITALE
Purtroppo, la concezione prevalente degli italiani di cosa sia smart working è ancorata al concetto di home working, dinamica piuttosto limitante, anche perché spesso viene svolta solo ed esclusivamente in orari di lavoro rigidi e prestabiliti, rendendo la prestazione ben più simile al vecchio telelavoro.
Ma se l’home working è la fattispecie più limitata di “lavoro da remoto”, andiamo a vedere l’estremità opposta: prende sempre più piede il fenomeno del nomadismo digitale.
Sempre più professionisti si rendono consapevoli che le nuove tecnologie consentono di svolgere la propria prestazione, e dunque di proseguire la propria attività economica, da ovunque essi si trovino e in qualsiasi momento. Bastano un pc e una connessione internet.
Le conseguenze possono essere incredibilmente vantaggiose per il nostro Paese.
Pensate a professionisti che arrivano da ogni parte del mondo, decidendo di vivere e lavorare in Italia, conseguendo redditi che vengono spesi qui da noi, magari in piccoli borghi o località lontane dai grandi centri urbani: sarebbe un’incredibile opportunità di rilancio (o slancio) economico di questi luoghi meravigliosi.
L’Italia ha tutte le caratteristiche per poter attrarre un gran numero di nomadi digitali: clima, patrimonio storico culturale, bellezze artistiche, paesaggi naturali da togliere il fiato. C’è solo un piccolo problema: i cittadini extra UE, per poter soggiornare in Italia, devono avere un regolare permesso di soggiorno … e sappiamo bene quanto la burocrazia italiana possa essere scoraggiante.
Ed ecco che il Legislatore italiano si è accorto di questa grande falla, decidendo di introdurre nell’ordinamento giuridico la figura del nomade digitale, facilitando così l’ingresso ai cittadini extra UE.
NOMADI DIGITALI REGOLATI DALLA LEGGE: CHI SONO DAVVERO?
La figura del nomade digitale fa il suo esordio ufficiale nell’ordinamento col varo della L. 25/2022, di conversione del noto D.L Sostegni-ter. Ebbene, con tale legge di conversione si è introdotto un nuovo articolo nel D.L. 4/2022 (articolo 6-quinquies), con il quale, di fatto, si è implementato il T.U. immigrazione (D.Lgs. 286/1998), aggiungendo, appunto, la figura del nomade digitale nell’articolo 27, appositamente dedicato agli “ingressi in Italia per lavoro in casi particolari”.
In particolare, sono definiti come nomadi digitali coloro che:
- Svolgono attività lavorativa altamente qualificata attraverso l'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto, in via autonoma ovvero per un'impresa anche non residente nel territorio dello Stato italiano.
La norma, che si rivolge in particolare ai cittadini extra UE che rientrano nella descrizione appena illustrata, afferma poi:
- Per tali soggetti, nel caso in cui svolgano l'attività in Italia, non è richiesto il nulla osta al lavoro e il permesso di soggiorno, previa acquisizione del visto d'ingresso, è rilasciato per un periodo non superiore a un anno, a condizione che il titolare abbia la disponibilità di un'assicurazione sanitaria, a copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale, e che siano rispettate le disposizioni di carattere fiscale e contributivo vigenti nell'ordinamento nazionale. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro del turismo e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti le modalità e i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno ai nomadi digitali, ivi comprese le categorie di lavoratori altamente qualificati che possono beneficiare del permesso, i limiti minimi di reddito del richiedente nonché' le modalità necessarie per la verifica dell’attività lavorativa da svolgere.
Esposto il quadro normativo, è ora il momento di fare ordine e chiarezza: lo faremo analizzando analiticamente i punti più importanti della disposizione.
- Deve trattarsi di personale altamente qualificato
- È il primo grande requisito, che, per ora, ha solo un mero valore simbolico. Infatti, la norma non definisce delle linee guida per inquadrare questo requisito (dovrebbe farlo a breve il decreto attuativo); possiamo, però, già fare una previsione delle principali categorie professionali che potranno beneficiarne: responsabili marketing, informatici e programmatori, blogger e scrittori in generale, consulenti, grafici e web designer … insomma, la lista può essere davvero lunga.
- È irrilevante la natura giuridica del contratto di lavoro
- Il nomade digitale può benissimo entrare nel Paese sia come lavoratore già assunto da un’altra azienda (che può anche essere priva di alcuna sede in Italia), ma può anche essere un lavoratore autonomo, un freelance, che decide di fare una nuova esperienza tutta italiana (magari con l’ambizione, perché no, di farsi assumere da un’azienda italiana, rimanendo nel Belpaese nel lungo periodo).
- Serve un’assicurazione sanitaria
- Si tratta, in questo momento, dell’unico rigido requisito, conditio sine qua non per indirizzare tutta la pratica verso il lieto fine: la sottoscrizione della polizza deve coprire tutto il soggiorno in Italia.
- Permesso di soggiorno speciale, in deroga rispetto al Decreto flussi, senza nulla osta
- È questa la grande notizia. Fino a oggi, i lavoratori extracomunitari che entravano nel Paese per “motivi di lavoro” potevano farlo solo nel rispetto delle rigide quote fissate a inizio di ogni anno dal Decreto flussi; chi ha fatto queste richieste di ingresso in Italia per motivi di lavoro all’interno dei flussi (dipendenti, aziende, consulenti del lavoro) sa benissimo che si tratta di un percorso lungo, quasi di una missione impossibile.
- Con questo nuovo sistema, è come se si fosse aperto un (nuovo) doppio binario per l’ingresso in Italia di lavoratori extracomunitari: la generalità di loro dovrà rispettare le quote del Decreto flussi; se, invece, si tratta di “lavoratori altamente qualificati” che rientrano nella descrizione di nomadi digitali, allora non avranno particolari limiti e il processo sarà decisamente più snello, non essendo più necessario attendere alcun nulla osta. Un bel sospiro di sollievo per le aziende.
- Modalità di richiesta: manca il decreto attuativo
- I nomadi digitali dovranno dotarsi, dunque, di un visto d’ingresso e di una copertura assicurativa sanitaria, per poi ottenere il permesso di soggiorno di un anno; attenzione, però, perché il decreto attuativo (che doveva entrare in vigore entro fine aprile) non è ancora arrivato; pertanto, a oggi, non si conoscono ancora le specifiche modalità di richiesta.
- Come abbiamo appena visto, si nota come un nomade digitale entrato in Italia con questo permesso di soggiorno speciale abbia tutte le carte in regola per esser assunto anche da aziende italiane (ricordiamo, infatti, che il nomade digitale può tranquillamente rimanere in Italia lavorando esclusivamente da autonomo oppure per conto di una società estera).
- Si consideri il seguente esempio ipotetico: un nomade digitale può decidere di entrare in Italia inizialmente come freelance e, dopo aver collaborato in maniera autonoma, potrebbe anche essere assunto da aziende italiane, dopo essersi “fatto conoscere”; una volta che il nomade digitale ottiene un contratto di lavoro “standard”, avrà sicuramente meno difficolta a ottenere un diverso e più lungo permesso di soggiorno e, quindi, avrà una sorta di diritto di precedenza.
- Insomma, le aziende che in questo periodo hanno enormi difficoltà a reperire personale qualificato potrebbero trarre beneficio da questo speciale permesso di soggiorno, che una volta entrato a regime semplificherà un po’ la possibilità di assumere (o collaborare con) extracomunitari.
ARTICOLO ESTRATTO DA: EUROCONFERENCE - LA CIRCOLARE DI LAVORO E PREVIDENZA N.31 DEL 21 LUGLIO 2022
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