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IL TEMPORARY MANAGER TRA MITI, REALTA' E OPPORTUNITA' - chapter 2

Scritto il 15 Luglio 2022

Continuiamo il nostro percorso di analisi del temporary manager. Come nasce e quali sono gli aspetti giuridici dietro questa figura?

CENNI STORICI: COME NASCE LA FIGURA? IN CHE CONTESTO SI SVILUPPA?

La necessità di inserire manager “a tempo determinato” si è sviluppata nel nostro Paese negli anni ‘80, nel periodo in cui molte grandi imprese furono obbligate a ridimensionare il proprio business e a snellire la propria struttura organizzativa: molti manager, pertanto, si sono trovati di colpo senza lavoro, pur possedendo competenze di alto profilo.
In Italia nacquero le prime associazioni tra questi manager, con l’idea di fornire consulenze specializzate “temporary” alle aziende, in genere di medio/piccole dimensioni, che si trovavano nella necessità di far crescere la propria attività, ma con l’impossibilità economica di poter investire su un manager (con le competenze giuste) a tempo indeterminato. Ecco perché anche attualmente il ricorso ai temporary manager è frequente da parte delle PMI (tipologie di aziende spesso e volentieri “seguite” dai consulenti del lavoro), in generale per impostare nuove strategie gestionali o comunque per essere aiutate a risolvere problemi o a realizzare obiettivi specifici in tempo brevi.

Il temporary manager è, in pratica, un esperto che inizia a collaborare con l’azienda per “portare a casa” i risultati concordati, come se fosse il titolare fisso di quel ruolo organizzativo/posizione ricoperta.

In questa premessa, e per esperienza personale, è fin da subito il caso di notare come le imprese spesso assegnino a questi manager, in aggiunta agli obiettivi di business, anche un altro obiettivo importante: quello di far crescere le (umane) risorse interne, per le quali non è stato possibile pianificare lo sviluppo oppure per le quali è necessario acquisire capacità e competenze nuove, non ancora presenti in azienda.
Ma veniamo all’attuale “contesto di sviluppo”.
Shock economici, la pandemia prima, la crisi energetica e la guerra poi: gli ultimi 2 anni sono stati ricchissimi di eventi capaci di portare estrema dinamicità nell’oceano del business in cui navigano le imprese. Le insidie, a causa di questi improvvisi shock, sono sempre di più e compaiono sempre più rapidamente. Ecco perché ci vuole qualcuno che assista le aziende a navigare al meglio, in modo più sicuro, ma al tempo stesso proficuo.
Ed ecco che serve il temporary manager a prendere il comando provvisorio della situazione (che può benissimo prendere in considerazione i consigli del consulente, lavorandoci assieme, appunto in modo complementare).
Infine, prima di passare al prossimo punto di questo articolo (decisamente più tecnico), una doverosa precisazione: spesso la necessità di dover assumere un temporary manager è associata alla visione negativa di “azienda in crisi”, che chiama un TM per gestire dinamiche difficili e a tratti drammatiche o, peggio, per traghettare l’azienda verso la chiusura definitiva.
Nulla di più falso.
O meglio, a volte può essere così, ma non certo sempre.

Spesso la scelta dell’ingaggio del TM è associata alla volontà aziendale di evolversi, di fare un salto in avanti, di espandere la propria posizione sul mercato.

Si considerino questi 2 semplici esempi:

un’azienda può ingaggiare un TM esperto in gestione HR & diritto del lavoro per gestire una fase di fortissima espansione, in termini di nuove assunzioni/stabilizzazioni di personale;

  1. un’azienda può, invece, decidere di avviare una fase di transizione, non per offrire nuovi prodotti, ma per cambiare la modalità di distribuzione del prodotto stesso, ingaggiando così un TM che sia anche ingegnere gestionale o un esperto di digital development (questa, in particolare, può essere un’area esplosivamente carica di opportunità;
  2. si pensi all’emergente tecnologia del Metaverso, legata alle reti blockchain: si immagini di acquistare un prodotto comodamente da casa, accedendo al negozio comodamente sul proprio divano, in maniera completamente “da remoto”, ma con modalità ben più interattiva rispetto al classico e diffuso acquisto su Amazon: chi potrebbe predisporre un simile cambiamento se non un temporary manager esperto?).

Insomma: più il cambiamento avanza, più la figura del temporary manager si diffonde e si rende assai utile.
Si dice che il cambiamento è qualcosa che sembra arrivare piano piano, ma arriva sempre. E se non ci si prepara, si viene travolti dall’onda; ed ecco il valore del temporary manager: far cavalcare l’onda.

 

ASPETTI GIURIDICI: CHI PUO' FARLO? CON QUALI MODALITA'?

Ed eccoci agli aspetti tecnico-giuridici.
Va subito sottolineato che, a oggi, il nostro ordinamento non offre alcuna normativa ad hoc specificatamente dedicata al temporary manager (esistono già le prime “associazioni di categoria”, ma siamo privi di un apposito Albo istituito per legge che vigili sul corretto svolgimento della professione).
Siamo in piena atipicità contrattuale.

Tal situazione comporta l’inevitabile conseguenza che tutti possano astrattamente essere temporary manager: sarà il mercato a dire chi sono “quelli veri”, i professionisti, e chi, invece, sono solo persone che si sono improvvisate come TM, non avendo i requisiti fondamentali esposti all’inizio dell’articolo (ampia motivazione ed elevate conoscenze professionali, in primis).

Ma non è tutto. La totale mancanza di una normativa specifica rimette a noi interpreti anche il compito di capire come deve essere “inquadrato” correttamente un temporary manager ingaggiato da un’azienda. A parere di chi scrive, si tratta di un ruolo sostanzialmente incompatibile con il concetto di lavoro dipendente (nonostante siano molti i soggetti assunti come lavoratori dipendenti, a tempo determinato, che si descrivono come TM); tale assunto non deriva da un divieto esplicito ex lege, bensì da una disamina comparativa tra gli indicatori della subordinazione utilizzati dalla prevalente giurisprudenza (e condivisi largamente in dottrina) per valutare se un determinato rapporto rientri o meno nel concetto di lavoro autonomo o subordinato.

Si consideri il seguente schema:

FATTISPECIE     INDICE DI SUBORDINAZIONE SE INDICE DI LAVORO AUTONOMO SE
Durata del rapporto Rapporto continuativo Rapporto occasionale
Tipologia di obbligazione Obbligazione di mezzi Obbligazione di risultato
Potere direttivo, di controllo e disciplinare Sottoposizione al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro Assenza di alcun tipo di potere direttivo, di controllo e disciplinare del committente
Retribuzione Compenso erogato periodicamente e in egual misura Compenso erogato una tantum o occasionalmente o in misura variabile
Strumenti di lavoro, appartenenza del know how Non appartenenza di mezzi propri di produzione/di lavoro Appartenenza di propri mezzi di produzione/lavoro, know-how elevato, che consente autonomia ed elevato tenore professionale
Orario di lavoro Orario fisso e predeterminato Assenza di orario (lavoro per obiettivi)

 

Ora, se ci mettessimo ad applicare ogni aspetto della prima colonna a sinistra (fattispecie di riferimento), notiamo facilmente come, per un vero TM, si rientri più nel novero del lavoro autonomo, infatti, ad esempio:

  • la durata del rapporto è chiaramente predeterminata e limitata; peraltro, l’obiettivo è quello di non essere nemmeno “rinnovati”. Il TM non punta a rimanere in azienda, bensì a renderla autonoma;
  • il potere direttivo, di controllo e disciplinare è (deve essere) del tutto assente. Se così non fosse, non vi sarebbe quel carattere di autonomia decisionale che il TM deve avere per compiere il proprio lavoro. Inoltre, il TM deve avere le dovute deleghe per poter operare in modo autonomo e indipendente rispetto al management aziendale permanente, altrimenti in suo ruolo si vanificherebbe. Appare palese come tale necessità di fondo sia totalmente incompatibile con la presenza di un potere direttivo, da cui discende anche quello disciplinare e di controllo, anzi, è il TM che, al contrario, assumerà temporaneamente un suo potere direttivo;
  • quanto al tipo di obbligazione, è qui più complesso affermare se si tratti di obbligazione di mezzi o di risultato. Una cosa, però, è certa: il TM si assume un rischio. Infatti, in caso di “malagestione”, nulla esclude che possa essere citato in causa dall’azienda che lo aveva ingaggiato, con la conseguenza spiacevole (incubo di ogni professionista) di dover attivare la propria polizza assicurativa contro il rischio professionale. Questo è indubbiamente un altro indice di lavoro autonomo;
  • la retribuzione: è evidente come, per un ruolo del genere, non sia fissa e periodica; più probabile che si parli di un unico importo preconcordato, erogato o in rata unica o in più tranche, ma non certo tutti i mesi;
  • pochi dubbi sugli strumenti di lavoro e sul know-how: il TM ingaggiato entra in azienda con un proprio bagaglio di conoscenze (elevatissimo) ed, eventualmente, con una propria strumentazione, è del resto il TM che trasferisce il proprio know-how all’azienda, non il contrario;
  • infine, non c’è discussione nemmeno per quanto riguarda l’orario di lavoro, assente per forza di cose: il TM lavora per obiettivi.

Per concludere: è decisamente più coerente col panorama normativo vigente un temporary manager che sia autonomo, lavorando “da solo” con propria partita Iva, oppure all’interno di una società strutturata cui fanno capo numerosi TM.

 

ARTICOLO ESTRATTO DA:

STRUMENTI DI LAVORO N. 6/2022 - EUROCONFERENCE EDITORIA

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