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IL TEMPORARY MANAGER TRA MITI, REALTA' E OPPORTUNITA' - chapter 3

Scritto il 18 Luglio 2022

In questo nostro ultimo capitolo cercheremo di rispondere a tre quesiti molto importanti rispetto alla figura del temporary manager: quali sono le competenze professionali richieste? Come viene inserita questa figura all'interno dell'organigramma aziendale? E il Consulente del Lavoro può essere un temporary manager?

SERVIZI DI TERMPORARY MANAGEMENT OFFERTI DA PARTE DEGLI STUDI PROFESSIONALI: E' FATTIBILE?

È possibile, ma solo se, com’è ovvio, vi sono le competenze necessarie e, soprattutto, la volontà e la forte motivazione di “andare oltre”.
E, quindi, la successiva domanda non può che essere: Quali sono le competenze professionali richieste?
Indipendentemente dalla funzione aziendale ricoperta (finanza, produzione, HR, commerciale, digital, logistica, etc.), abbiamo visto che il TM deve trasmettere competenze professionali molto qualificate, sposate a competenze umane, personali e attitudinali che prevedono una capacità di leadership significativa e buone capacità di comunicazione e di empatia con gli altri (essere un coach de facto): soprattutto nelle PMI diventa strategico saper portare competenze e far crescere gli altri, essere un buon TM vuol dire, in sintesi, avere le hard skills elevate di un dirigente/manager abbinate al savoir faire di un consulente.

Indubbiamente, per poter entrare in questo (nuovo) ruolo, ormai sarà chiaro, il consulente dovrà andare oltre gli aspetti intimamente professionali, dovrà essere flessibile e, quindi, dovrà, in larga misura, dimenticare il personaggio interpretato fino a quel momento: con questo nuovo abito il TM dovrà affiancare il Ceo, il management, il datore di lavoro tout court, approcciando le attività con una visione più strategica, poiché, oltre a portare le competenze tecniche, dovrà favorire il cambiamento, staccandosi dai sentieri percorsi in passato.

MA NEL CONCRETO, NELL'ORGANIGRAMMA DELLE AZIENDE DOVE POTREBBE INSERIRSI IN QUESTA NEW AGE IL CONSULENTE DEL LAVORO?

La partita verrà giocata precipuamente nella funzione HR delle organizzazioni, funzione che dovrà essere sempre più presidiata e sviluppata in tutte le aziende, anche nelle PMI. In ambito HR, dunque, il consulente del lavoro potrà spendere le sue “cartucce”, potrà “dare di più” diventando una sorta di direttore del personale in outsourcing (ricordiamo, infatti, che il consulente che va a fare il TM smetterà per un momento di essere consulente, perché non consiglierà più, bensì agirà), in particolare, a parere di chi scrive, operando, supportando e guidando l’imprenditore in questi ambiti:

  • Valutazione del personale e politica retributiva;
  • Selezione del personale;
  • Formazione e sviluppo del personale.

VALUTAZIONE DEL PERSONALE E POLITIVA RETRIBUTIVA

In questa materia il consulente del lavoro gioca decisamente in casa e per le aziende si tratta di ambiti particolarmente strategici.
La politica retributiva è il punto di partenza per definire le modalità di “messa a terra” del sistema premiante, anche in funzione del budget a disposizione: in particolare, si deve specificare che le politiche retributive danno un senso pratico alle priorità delle imprese, attraverso un’esposizione trasparente delle regole da utilizzare per erogare i premi a quelle persone che più (e meglio) di ogni altre hanno fornito il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Definire e implementare la politica retributiva significa fondamentalmente prendere decisioni in merito a: chi premiare; cosa premiare; come premiare; quanto premiare; quando premiare; come comunicare il premio. La stella polare che dovrebbe guidare la politica retributiva è l’equità (interna ed esterna), che non vuol dire uguaglianza, ma proprio il suo contrario: vuol dire, infatti, differenziare, cioè che le persone sono retribuite in base al contributo che offrono (equità interna attraverso la valutazione per livello di responsabilità/ruolo ricoperto e livello di prestazione fornito) o che potenzialmente potranno fornire (equità esterna attraverso la valutazione del potenziale e delle competenze, dei talenti, con un occhio, quindi, anche a quanto pagano i competitors).

Il consulente del lavoro conosce profondamente i contratti collettivi, le declaratorie (si noti, tra l’altro, come il recente rinnovo Metalmeccanica industria abbia tracciato la direzione di una moderna classificazione del personale non più legata alle mansioni, ma legata al ruolo organizzativo e alle responsabilità), le tabelle retributive, il budget e il costo del lavoro, i premi variabili (detassati e non), i benefit (welfare tout court), ergo non potrà essere avulso dalla definizione della politica retributiva in azienda e, perché questo accada, però, dovrà essere proattivo, non più solo reattivo: per capirci, quando il cliente chiama per comunicarci un aumento retributivo mensile di 200 euro netti a un suo dipendente, siamo sicuri che stia facendo bene? Il nostro eroe, il consulente del lavoro, potrebbe, nell’esempio de quo, fissare un appuntamento con il cliente per approfondire le motivazioni di questo aumento…

SELEZIONE DEL PERSONALE

Le PMI, in genere, non hanno una struttura ad hoc idonea a gestire in modo sistematico questo servizio e spesso si rivolgono, quando va bene, a società più o meno specializzate, quando va male, improvvisano.
Le aziende si dovranno, invece, organizzare, sempre più in futuro, per ottimizzare il processo di selezione del proprio personale, per evitare o quanto meno ridurre la possibilità di commettere errori scegliendo collaboratori non idonei. Gli errori in selezione possono costare molto cari all’azienda, non solo economicamente: una persona che lascia l’azienda più o meno subito dopo l’assunzione (per dimissioni o per iniziativa aziendale, magari perché non ha superato il periodo di prova opportunamente monitorato dal consulente del lavoro), inevitabilmente andrà a incidere in modo negativo sul morale del personale che è rimasto in azienda. Il consulente del lavoro che è presente anche in sede di selezione del personale potrebbe garantire all’azienda un valore aggiunto non indifferente, sia in termini di corretto inquadramento contrattuale, sia in termini di verifica di eventuali agevolazioni contributive per alcuni candidati: in generale, si pensi quanta motivazione potrebbe avere in più il neo-assunto che è stato illuminato dal professionista esperto di normativa giuslavoristica e di busta paga durante tutto il processo di selezione e di primo inserimento in azienda (c.d. onboarding).

FORMAZIONE DEL PERSONALE

La formazione in azienda è un processo che vuole garantire il miglioramento continuo del personale in forza: gli obiettivi tipici delle attività formative in genere sono, infatti, quelli di trasmettere informazioni, nozioni, conoscenze (si agisce sul sapere), abilità e capacità (si agisce sul saper fare), attitudini, valori e comportamenti (si agisce sul saper essere). Il suddetto processo viene realizzato attraverso una serie di fasi consequenziali, tipicamente:

  • analisi dei bisogni formativi (organizzativi e individuali);
  • progettazione degli interventi da erogare; realizzazione delle attività progettate; monitoraggio delle attività; valutazione dei risultati ottenuti.

I professionisti, in questo processo, potrebbero sicuramente essere coinvolti, sia in fase di analisi dei fabbisogni formativi sia in fase di progettazione e realizzazione della formazione, magari anche come docenti per alcune materie.

Non sarà, inoltre, indifferente ricordare che la L. 388/2000 ha introdotto la possibilità per le aziende di accedere ai Fondi paritetici interprofessionali, per finanziare (spesso integralmente) la formazione dei propri dipendenti: aderendo a questi Fondi, infatti, è possibile destinare alla formazione la quota dello 0,30% dei contributi versati all’Inps, ergo il consulente del lavoro non potrà non recitare una parte attiva in questo ambito. A volerla dire tutta, la formazione è sempre di più un benefit molto gradito dalla popolazione aziendale, soprattutto se pensiamo alle ultimissime generazioni (c.d. Millennials e Generazione Z) che sono entrate nel mondo del lavoro: un consulente del lavoro al passo coi tempi, dunque, non potrà esimersi dal ricordare all’imprenditore che la formazione è anch’essa uno strumento retributivo (ancorché intangibile), in grado di motivare e fidelizzare i dipendenti dell’azienda.

Come si vede, gli ambiti HR in cui il consulente del lavoro potrà “portare la borraccia” al datore di lavoro (per usare una metafora e un’immagine cara agli appassionati di ciclismo) sono parecchi e di grande rilevanza strategica: sono ambiti che, a oggi, i professionisti hanno solo sfiorato e che in futuro li vedrà sempre più protagonisti.
Perché quanto sopra accada dovremo, però, un po’ cambiare pelle, (ri)metterci a studiare e cambiare (rectius, adeguare) il nostro mindset, poiché il consulente del lavoro 4.0 dovrà sempre più uscire dagli schemi, essere creativo, “sul pezzo”, flessibile e pronto in corsa a indossare l’abito adeguato ai diversi ruoli richiesti: consulente, imprenditore, coach, manager, ma si spera a tempo indeterminato.

 

ARTICOLO ESTRATTO DA:

STRUMENTI DI LAVORO N. 6/2022 - EUROCONFERENCE EDITORIA

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